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RECENSIONI...
di Gianni Viola

IL PIANETA ROSSO

di Francis Rocard
Muzzio Editore


 

RECENSIONE:

IL PIANETA ROSSO Il Rocard inizia spiegando la differenza fra i termini "chenal" (canale naturale) e "canal" (canale artificiale) secondo un motivo ricorrente con funzione di "tormentone" che popola tutte le pubblicazioni di astronomia, ma che non spiega come in realtà i canalisti in molti casi avessero ragione, poiché, in alcune circostanze quelle formazioni erano realmente esistenti, benché di origine naturale e un tempo occupate da superfici di acqua. (1)
Più avanti (2) egli cita la "Syrtis Major Planitia" (letteralmente: "pianura della Gran Sirte"), sin dagli anni '80 del secolo scorso ridenominata "Syrtis Major Planum". Questo, del resto, è un errore comune a tutta la pubblicistica riferita al pianeta Marte.
Il Rocard, dimentico di tale cambiamento (ben significativo) continua ad utilizzare la vecchia denominazione, non avendo acquisito la successiva. Ecco la spiegazione: è vero che il termine latino "planitia" va letteralmente (ma solo letteralmente) tradotto con "pianura" o "piano". Tuttavia, in riferimento al pianeta Marte, e dopo l'acquisizione delle conoscenze topografiche seguite alle esplorazioni del "Mariner 9" e delle "Viking 1" e "Viking 2", si ritiene che le "planitia" non indichino propriamente delle pianure, bensì dei fondi marini in secca.
Del resto l'equivoco è ancor più comprensibile dal momento che la topografia marziana contiene un altro termine (cioè il vero termine) latino, "planum", che indica le pianure nel vero senso della parola, cioè le pianure che, nel passato, non furono fondi di mari.
La sconoscenza di tale fattore ha indotto i compilatori delle mappe di Marte, a porre assurdamente (dunque con un percorso metodologicamente impraticabile) due termini - "planitia" e "planum" - come riferiti a dati ritenuti uguali!
Se questi due termini riferissero realmente di strutture equivalenti, non vi sarebbe alcun motivo per non utilizzarne uno solo dei due, per indicare la medesima struttura.
Inoltre l'Isidis Planitia, cioè propriamente la "pianura di Iside", dunque il "mare di Iside", si trova contiguo con la Syrtis Major Planum, cioè con la "pianura della Gran Sirte". Quando ci si accorse che questa "planitia" non era un fondo marino, bensì una pianura vera e propria, venne ridenominata con il termine "planum" (al posto di "planitia").
Il Rocard tutto questo non lo sa... e come potrebbe lui, dal suo Olimpo, accorgersi di tale facezia?

Pur avendo a disposizione le bellissime immagini restituite dalle due sonde Viking, il Rocard (3) utilizza (inspiegabilmente) le bruttissime pitto-fotografie fornite in nome e per conto della missione Mars Express.
La ragione è semplice: poiché le immagini della Mars Express sono state riprese negli anni dal 2004 in poi, indipendentemente dalla loro effettiva qualità, sono ritenute migliori di quelle riprese dalle sonde Viking, rilevate quasi trent'anni prima.
La verità è invece che le immagini Viking sono migliori di quelle della Mars Express, anche perché le prime sono vere fotografie, le seconde sono delle semplici elaborazioni digitali.
Da aggiungere che tenuto conto del rapporto "distanza-risoluzione", a parità di condizioni, le Viking produssero immagini qualitativamente migliori di tutte le altre missioni, ad eccezione di quelle della MGS che, tuttavia, da una parte ottennero teoricamente livelli di risoluzione migliori delle Viking, ma in pratica i risultati mostrati furono di qualità ben più scadente.

Rocard dimostra una totale disconoscenza dei termini di qualità delle immagini satellitari, laddove dice che i paesaggi ripresi dai due moduli di discesa dei Viking Lander, erano "molto simili" (4). Ciò non è vero, poiché nella realtà si tratta di paesaggi che presentano strutture fin troppo differenti: il paesaggio ripreso dal Viking Lander 1 aveva come sfondo una collina e tutt'intorno zone pianeggianti, mentre il paesaggio ripreso dal Viking Lander 2 era un'uniforme distesa con piccole strutture disseminate in ogni dove e strutture più grandi sullo sfondo dell'orizzonte.

In aggiunta a tali profonde considerazioni, l'alto esponente della scienza francese (e mondiale...) sconosce anche il concetto scientifico di risoluzione geometrica. Egli infatti parla di "alta risoluzione" riferita a livelli di 10 metri per pixel (5). Tale definizione è sbagliata in sé (il livello di risoluzione è alto o basso, tenendo conto della dimensione della struttura ripresa), inoltre in nessuna parte del libro sono state utilizzate immagini con tali risoluzioni, benché sia le Viking, sia la Mars Global Surveyor, ne abbiano prodotte di ottima qualità.

Infine, parlando della missione Viking (6), si dimentica di dire che la risoluzione massima raggiunta fu di appena 10 centimetri, tramite l'uso delle telecamere dei due moduli di discesa (lander), Viking Lander 1 e Viking Lander 2. E, tanto per gradire, parlando della missione Mariner 9 del 1971-1972, dice che "La risoluzione al suolo era da 1 a 3 km (...)" (7). Si tratta di una enorme falsità, poiché la Mariner 9 ottenne immagini con risoluzioni fino a 37 metri, in ciò eguagliando una parte dei risultati ottenuti dalla missione Viking.

La perla finale è riservata alla eterna questione della "Face on Mars".
Nel punto 2 (dell'Appendice del libro), denominato "Il volto di Marte" (8), Rocard parla dell'"era dei miti" e di "folli speranze", dimenticando (o non sapendo) che né gli uni, né le altre sono riconducibili alla conduzione della ricerca scientifica riferita al pianeta Marte.
Le ipotesi, anche le più ardite, non sono miti, sono "strumenti di lavoro". Il "mito" è invece rappresentato dalla negazione aprioristica, che non è un elemento scientifico, bensì un dato di fede. Inoltre non è possibile cancellare dalla scienza il dato dell'immaginazione, senza il quale ogni ricerca sarebbe bloccata.
Bisogna riconoscere invece come sia vero che tutti gli elementi realmente presenti nella ricerca e impropriamente tacciati con le definizioni di cui sopra, nella pratica effettiva non hanno mai prodotto alcun fattore negativo, ponendosi invece come elementi di stimolo che non hanno bloccato, bensì promosso, ulteriori e più approfondite analisi.

A tal proposito vale riportare almeno un esempio: l'aver posto l'ipotesi dell'esistenza di canali artificiali su Marte, non produsse all'epoca alcun disastro nella ricerca scientifica, semplicemente pose, come probabile, l'esistenza di ciò che era ipotizzato. Quando poi fu possibile analizzare più da vicino la superficie del pianeta Marte, si appurò che le linee percepite al telescopio erano sostanzialmente delle illusioni ottiche, ma ciò apparve normale, tenuto conto della distanza di osservazione tramite i telescopi.
Intendo dire che nessuno, "dopo" l'acquisizione di immagini con risoluzioni maggiori, si sognò mai di persistere nelle ipotesi precedenti.
Ora, invece, il quadro è totalmente capovolto: il materiale disponibile non è esaminato, non si procede a porre delle ipotesi e non si tiene conto delle analisi condotte.
Se di disastro dunque deve parlarsi, questo non fu presente all'epoca di Schiaparelli, mentre è presente nell'epoca attuale.
Quegli studiosi, con pochi mezzi, facevano molto, questi studiosi, con molti mezzi, non fanno nulla!

La verità è, dunque, che lo studio della superficie dei pianeti non ha niente a che vedere con l'astronomia, trattandosi invece di studi che hanno attinenza con la geografia e l'analisi fotografica (fotointerpretazione) e l'ostinazione di certa parte della scienza nel non voler accettare tale realtà, impedisce di fatto lo sviluppo di una corretta analisi delle immagini satellitari dei pianeti.

Nell'appendice dedicata alla "Face on Mars", ripresa a Cydonia Mensae, Rocard dice che tale struttura si trova "al confine tra gli alti pianori craterizzati e le giovani e basse piane".
Si tratta, come si vede, di un linguaggio confuso e inopportuno.
I pianori (assolutamente non craterizzati) sono degli "altopiani" e le "giovani e basse piane", sono null'altro che il fondo in secca dell'antico oceano.
Qui è già un esempio di un linguaggio che, non volendo accettare la realtà "non astronomica" dell'analisi morfologica della superficie dei pianeti, continua ancora ad utilizzare espressioni vaghe, al posto di espressioni precise.

Una circostanza curiosa e notevole è inoltre la seguente: Rocard riconosce che le riprese della "Face on Mars", effettuate nel 1976 dalla sonda Viking 1, sono ad "alta risoluzione" e questo è un miracolo!
Tuttavia dice che immagini successive ad "alta risoluzione" (da parte della sonda Mars Global Surveyor) avrebbero vanificato quanto ripreso in precedenza.
Chiunque (e segnatamente un ricercatore del campo) sa benissimo - in questo caso "dovrebbe sapere" - che un'immagine ad alta risoluzione, ripresa successivamente con una rilevazione con maggiori elementi di qualità, deve rappresentare l'immagine precedente con un numero maggiore di particolari. Sostenere il contrario vuol dire non avere nozione alcuna di cosa sia il concetto di risoluzione geometrica (e questo particolare lo abbiamo evidenziato in precedenza) e della circostanza che essa vada sempre rapportata (dunque "relativizzata") alle dimensioni della struttura ripresa.
In ogni caso, e con ciò il discorso è ormai chiuso e concluso, nel 2004 due riprese satellitari effettuate dalla sonda Mars Odyssey, confermarono e ridefinirono in tutti i particolari, la "Face on Mars" ripresa nel 1976. Ma né di questo né d'altro, il Rocard sembra essere a conoscenza.

Possiamo trarre delle conclusioni?
Salta subito agli occhi che il libro di Rocard sia un prodotto della "scienza canonica". Questa, pur rappresentando la parte più retriva della ricerca, pretende di rappresentarne la parte migliore.
Non occorre accanirsi troppo contro l'ortodossia.
È nei fatti che la metodologia adottata in ambito istituzionale non rispetti i principi della ricerca sperimentale, poiché si rifiuta di applicare il metodo scientifico e ritiene invece normale applicare il cosiddetto "principio dell'autorità", laddove la verità non scaturisce più da un esperimento e da una verifica, bensì dal pronunciamento cattedratico di un ente, o una persona, in tal fatta ritenute infallibili.
Questa è già fede e la fede è rispettabile nell'ambito che le è proprio, mentre la scienza è un'altra cosa. Ecco perché il libro di Francis Rocard è nient'affatto un'opera di scienza.

Note:
1. "Il pianeta rosso", p. 34.
2. Ibidem, p. 232.
3. Ibidem, pp. 196, 197, 200.
4. Ibidem, pp. 48-49.
5. Ibidem, p.107.
6. Ibidem, p. 48.
7. Ibidem, p. 47.
8. Ibidem, pp. 233-235.

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