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libri di Gianni Viola

LA VERITÀ SULLA FINE DELL'U.R.S.S.

di Gianni Viola
Prospettiva Editrice
pagg. 216 - 22 foto b/n - € 14,00
Per ordinare: www.ibs.it

 

L'ARGOMENTO:

LA VERITÀ SULLA FINE DELL'U.R.S.S. Il 17 marzo 1983 sull'International Herald Tribune compariva la Dichiarazione di Ronald Reagan, secondo cui "L'Unione Sovietica è la concentrazione del male nel mondo contemporaneo".

Un quarto di secolo dopo, il 25 aprile 2005, il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, dichiarava che "Il crollo dell'U.R.S.S. è stata la più grave catastrofe del XX secolo, un vero dramma per il popolo russo", in ciò confortato dall'analogo giudizio espresso sei anni prima dallo scrittore e filosofo, Aleksander Zinoviev, dissidente, ritornato in Patria dopo 21 anni di esilio ed ora riavvicinatosi sulle posizioni del comunismo.
Perché l'URSS fu distrutta e da chi?
I motivi che ne furono alla base vanno ricercati non già nella questione dei "diritti umani", bensì nell'impedimento obiettivo che l'URSS operava sul proprio territorio contro il sistematico saccheggio di risorse umane e naturali, correntemente praticato sia sul piano nazionale, sia su quello internazionale, attraverso le politiche neo-coloniali dell'imperialismo odierno.
I protagonisti del progetto di distruzione dell'URSS furono tanti, ma i ruoli essenziali furono giocati da Ronald Reagan e Karol Wojtyla, che per una strana sincronia storica, si trovarono appaiati negli stessi scopi egemonici.
Il presente volume racconta dell'esperienza personale dell'Autore all'interno di tale progetto, nel mondo romano della emigrazione russa, con un inedito ritratto della dissidenza sovietica qui considerata senza orpelli e abbellimenti, nella sua nuda realtà fatta di soggetti rapaci, preoccupati di vendere come oro la propria miseria morale.
La presente Opera, inedita, è stata insignita del Premio Letterario Internazionale "Scrittori per Il Terzo Millennio" a cura del Centro Europeo di Cultura di Roma.

Nota: L'immagine di copertina riprende l'incontro dell'autore con Papa Giovanni Paolo II.

PREFAZIONE:

Già negli anni Settanta, nei paesi sviluppati, l'espansione del dopoguerra aveva lasciato il posto ad un lungo periodo di stagflazione, ad una profonda crisi fiscale dello Stato e ad una crescente ondata di proteste. Gli shock petroliferi - che contribuirono all'espansione dei mercati finanziari internazionali, impegnati nel riciclaggio dei petrodollari - e la conseguente crisi del debito internazionale accelerarono la trasformazione del FMI e della BM in strumenti di diffusione delle politiche monetariste (neoliberiste) attraverso la negoziazione di programmi di stabilizzazione e aggiustamento strutturale.

A dare ulteriore impulso alle tendenze innescate dalle politiche neoliberiste di crescita basata su esportazioni, rigore fiscale, deregolamentazioni, privatizzazioni e distruzione dello stato sociale (i dettami del "Washington Consensus") fu il crollo dell'Unione Sovietica, che generò un vuoto enorme nel sistema internazionale. La sua scomparsa e quella dei regimi comunisti nell'Europa centro-orientale, simboleggiata dal crollo del muro di Berlino, suscitò un enorme entusiasmo in coloro che lessero in questi eventi il trionfo dell'Occidente e del suo modello di sviluppo, con la vittoria indiscutibile del liberismo e la scomparsa di ogni altro riferimento ideologico rivale, e che affermarono ottimisticamente che il libero mercato e la democrazia liberale rappresentavano il punto di approdo "naturale" dell'organizzazione sociale. Insomma, "la fine della storia", nella nota formulazione di Francis Fukuyama.

Ma perché l'Urss ad un certo punto implode? Questa è la domanda a cui cerca di rispondere Gianni Viola con il suo libro, dimostrando con una ricca messe d'informazioni il grande nesso che lega la dissoluzione del Secondo Mondo con la più ampia strategia statunitense di colonizzazione del mondo, supportata ideologicamente prima dalla teoria della modernizzazione, successivamente dal grande dibattito sulla globalizzazione, entrambi versioni aggiornate del vecchio concetto occidentale di "missione civilizzatrice" e legittimazioni, in forma moderna, dei nuovi colonialismi. La mutazione terminologica non ha, di fatto, comportato l'abbandono delle idee, dei pregiudizi e delle pratiche del passato, ma li ha ripresentati in una veste più attuale e a malapena più sofisticata.

Non mi soffermerò sulla strategia americana, che ha ispirato negli ultimi anni la politica estera degli Stati Uniti. Rimando, a tale proposito, alla lettura nel libro delle appendici che parlano di Natan Sharansky "capo carismatico dei russi emigrati in Israele", inventore della retorica del colonialismo moderno e della necessità di democratizzare il mondo "con la punta del fucile"; colui che ha ispirato idealmente l'ex presidente americano George W. Bush, impegnato a tutto campo nella lotta contro "the axis of evil", usando la forza in nome di un fondamentalismo umanitario, che enfatizza il dovere dei paesi occidentali di tutelare la democrazia e i diritti dell'uomo in ogni angolo della terra. Un vero paradosso della modernità, che pone al suo centro il motivo del popolo eletto, del "Manifest Destiny", e che ha trasformato l'ideologia americana in ideologia della guerra globale. Un'ideologia che la politica degli Usa ha sprigionato al fine di legittimare, in nome della democrazia capitalistica, il dominio forzato sul mondo.

Fa bene Gianni Viola ad aprire il suo libro, sottolineando che dalle ceneri dell'Urss "derivarono tutti gli episodi distruttivi, che hanno caratterizzato l'ultimo ventennio, dal 1989 al presente, così la prima e la seconda guerra all'Irak (1990-2003) e la guerra del Kosovo e prima ancora una serie di attacchi e provocazioni alla Jugoslavia (1990-1999), senza contare tutta la faccenda del 2001 (il cosiddetto '11 Settembre') con la conseguente e 'pretestuosa' aggressione all'Afghanistan. Fino a giungere, da ultimo, a tutte le provocazioni degli USA, di concerto con l'Europa, nei confronti della Russia, vedi ad esempio i fatti di Georgia e la recente Guerra del Gas con l'Ucraina, facente parte della strategia di accerchiamento occidentale, contornato di 'rivoluzioni colorate'...". Tutto ciò non è, infatti, altro che l'epilogo (finale?) del disegno egemonico messo in atto da decenni dagli Usa (con il beneplacito e, in taluni casi, con il concorso dei suoi alleati occidentali), entro il quale era compreso il piano di demolizione dell'Urss.

Tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, la teoria elaborata da Zbigniew Brzezinski - che aveva individuato un "arco di crisi" che dal Marocco si estendeva fino al Pakistan - indicava la possibilità di minare l'influenza sovietica mobilitando in quelle zone "l'arco dell'Islam". Ma la prima direttiva americana per l'organizzazione di aiuti militari e finanziari ai gruppi integralisti islamici in Afghanistan e nel Caucaso (firmata da Carter il 3-07-1979), a sostegno dell'jihad dei mujaheddin contro "il regime dei comunisti atei senza Dio", segnava anche l'inizio dell'irruzione del terrorismo islamico in regioni che erano oggetto degli appetiti atlantici per via dello sfruttamento e del trasporto di risorse naturali come gas e petrolio. Di ciò l'intelligence americana ne era consapevole. D'altro canto, perché non sfruttare il terrorismo islamico facendone il catalizzatore di un'insurrezione violenta nel "ventre molle" dell'Urss?

Oggi i mujaheddin afghani (i taleban) sono nemici dichiarati degli americani. Tuttavia, costoro, un tempo, furono osannati da Carter, Reagan, riconosciuti da questi ultimi come combattenti religiosi (di cui faceva parte anche Osama bin Laden), o meglio ancora come "combattenti per la libertà". Ciò perché i mujaheddin erano una delle forze di resistenza all'invasione sovietica.
All'inizio degli anni Ottanta Reagan aveva riportato alla Casa Bianca il realismo conservatore duro e puro, che poteva essere riassunto nel modo seguente: "il nemico del mio nemico è mio amico". Arrivarono così dagli Usa e dal Pakistan verso l'Afghanistan finanziamenti e aiuti militari, addestratori inclusi, che furono fondamentali per il crollo dell'Urss, che si ritirò dopo ingenti perdite nel 1985, quando ormai era stata coniata l'espressione "Impero del Male" nei suoi confronti. Come ci racconta Viola, la dissidenza sovietica affiancò allora l'egemonia imperialistica americana, parteggiando con le bande dei musulmani criminali. Tra questi ultimi figurava il capo militare e uomo politico afghano Gulbuddin Hekmatyar, noto per la crudeltà con cui sfigurava, usando l'acido, le donne, a suo dire non in linea coi precetti islamici, e per le pratiche di lento scuoiamento vivo dei nemici e di amputazione di dita, orecchie, naso e genitali. Anche alla dissidenza sovietica va, quindi, "il merito di avere reso possibile l'instaurazione in Afghanistan di uno dei regimi islamici più sanguinari della terra, quello dei Taleban" (Viola).

In seguito, quando l'Urss ormai non esisteva più sulla carta geografica, sempre Brzezinski, nel suo saggio "Il grande scacchiere. L'egemonia americana e i suoi imperativi geopolitici" (titolo originale del saggio: "The Grand Chessboard"), pubblicato nel 1997, aveva consigliato agli Usa d'indebolire la Russia, sino a smembrarla del tutto:
  • dando un forte sostegno all'Azerbaijan, Uzbekistan, Tadgikistan e (al di fuori di quest'area) all'Ucraina, poiché questi paesi erano pilastri geopolitici essenziali. Soprattutto l'Ucraina, che avrebbe influito sull'evoluzione futura della Russia. Se Mosca avesse riconquistato il controllo dell'Ucraina con i suoi 52 milioni di abitanti e grandi risorse naturali, oltre che l'accesso al Mar Nero, la Russia automaticamente avrebbe riconquistato le condizioni che ne avrebbero fatto un potente stato imperiale esteso fra Asia ed Europa;
  • tagliandola fuori dai giacimenti del Caspio e isolandola politicamente per sempre. Brzezinski non ha mai fatto mistero d'indicare nella zona caspica una necessaria e prioritaria terra da acquisire, per il suo interesse geo-economico, nello spazio vitale degli Usa.
Il pensiero di Brzezinski si è materializzato a partire dal 1995 con l'avvio del "Grande gioco caspico del petrolio", ossia da quando gli Usa sono prepotentemente entrati nell'area caucasica e transcaucasica, usando in primis come avamposto la Georgia. Per perseguire questo piano gli Usa hanno utilizzato tutti i mezzi possibili. Dai finanziamenti del "Carnegie Endowment for International Peace" e della "Soros Foundation", che ha strappato il potere in Georgia a Shevarnadze per consegnarlo ai "liberali" filo-americani, ad altre fondazioni "private" americane, come la "National Endowment for Democracy", l'International Republican Institute", sino ai think-tank tedeschi - la "Konrad Adenauer Foundation" (cristiano-democratico) e la "Friedrich Ebert Foundation" (socialista), che hanno organizzato la minoranza cattolica ucraina, nazionalista e antirussa e foraggiato fondi al candidato filo-occidentale ucraino. Ovviamente, nell'elenco è compreso l'"Open Society Institute", una fondazione "culturale" di Soros, ed altri network. Per comprendere il ruolo di queste "reti d'ingerenza democratica", rimando ad un'appendice del libro di Viola, dove è documentata, ad esempio, l'attività della "National Endowment for Democracy" (NED), sopra richiamata, una "fondazione statunitense per la democrazia (...) creata da Ronald Reagan per perpetrare le azioni segrete della CIA, fornendo apporto finanziario e manipolando le organizzazioni sindacali, le associazioni e i partiti politici. (...) La NED proclama di aver creato interamente il sindacato Solidarnosc in Polonia, la Carta dei 77 in Cecoslovacchia e Otpor in Serbia. Inoltre, si congratula di aver creato sia la radio B29 sia il giornale Oslobodjenje nell'antica Yugoslavia e un sacco di nuovi media indipendenti nell'Iraq liberato". E tutto questo sulla base del suo principio ispiratore: "Ciò che è bene per l'America, è bene per il mondo".

Fu costituita, sempre in funzione antirussa, la PAUCI (Poland-America-Ucraine Cooperation Iniziative nel 1998) e nel 1999 venne varata la legge americana chiamata "Silk Road Strategy Act", da cui nacque nel 2001 un'alleanza regionale fra Georgia, Ucraina, Azerbaijan e Moldavia (GUAM). Furono, inoltre, sanciti rapporti di collaborazione tra Georgia e Nato (Partnership for Peace, nel- 2004). Tralascio, per ragioni di brevità, la partita della costruzione degli oleogasdotti gestiti da consorzi costituiti da multinazionali americane, israeliane ed europee. Tutti questi corridoi energetici hanno tagliato fuori la Russia dalle rotte post-sovietiche dell'oro nero e del gas. Per la loro costruzione si era attinto ai Fondi pubblici internazionali ("International Finance Corporation" - membro del gruppo della BM - e "Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo" - BERS). I profitti sarebbero stati, invece, ripartiti tra le varie compagnie petrolifere private.

Tra il 2000 e il 2005 si ebbe la stagione delle rivoluzioni "colorate", di cui accenna anche Viola, finanziate dalle suddette "reti americane d'ingerenza democratica". Come ho già affermato, a titolo di esempio, la rivoluzione delle rose in Georgia fu sovvenzionata dall'ungherese, naturalizzato americano, Soros (noto anche per aver armato i ribelli ceceni in funzione antirussa), con lo scopo di appoggiare la candidatura a presidente della Georgia del filo-americano Saakashvili (che poi ha assunto quella carica nel 2004), di cui si sa aver sostenuto, ospitandolo più volte, il terrorista ceceno Shamil Basayev. Ma ciò non stupisce affatto dato che è sempre stata degli americani e dei suoi fiancheggiatori la politica del perseguimento dei loro fini attraverso giri di valzer: dopo aver per anni martellato sulle gravi violazioni dei diritti umani in Cecenia e aver ricevuto il presidente indipendentista Aslan Maskhadov con gli onori di un capo di stato (costui, tra l'altro, in più interviste parlò di "mandanti degli attentati dinamitardi in Cecenia molto lontani dalle frontiere e di strani emissari che cercavano di persuadere i ceceni a forare l'oleodotto Bakù-Novorossiysk controllato dalla Russia" - il riferimento agli americani è direi scontato!), gli Stati Uniti hanno poi confortato le tesi del Cremlino riconoscendo che i guerriglieri ceceni annidati nelle gole di Pankissi, in gran parte costituiti da volontari jihadisti arabi seguaci di Khattab, rappresentavano un fronte locale di Al-Qaeda. Il "linkage" guerriglia cecena = terrorismo = Al-Qaeda ha successivamente determinato una nuova e decisiva presenza americana sul fianco meridionale della Russia; una presenza che assume ancora una volta la forma di un arco che a partire da Occidente, cioè dalla Turchia e dalla base di Incirlik si sviluppa poi nel Caucaso, nell'Asia centrale e in Afghanistan terminando con le Filippine, e che definisce una vera e propria architettura imperialistica americana.

Un disegno "diabolico", quello americano, che ha sferzato le sue forze più aggressive ed eversive per l'accerchiamento e l'asservimento della Russia. In questo piano sono pure rientrati:
  • l'espansione della Nato nell'Est europeo (dalla prima espansione del 1999 - Polonia, Cechia, Ungheria - a quelle del marzo 2004 - Estonia, Lettonia e Lituania, che hanno sbarrato la frontiera baltica; Slovacchia, che completava la chiusura dell'Europa centrale; Slovenia e, soprattutto, Bulgaria e Romania, che sigillavano la frontiera occidentale del Mar Nero, estendendone il controllo Nato dalla Georgia al delta del Danubio);
  • la disgregazione della Federazione iugoslava. Una tragedia immane, che ha innescato sanguinose e disumane guerre civili ispirate al principio della "pulizia etnica", cioè allo sterminio degli avversari. Il delicato equilibrio tra le varie nazionalità, raggiunto grazie alla mano ferma e forte del maresciallo croato (e cattolico) Jozip Broz Tito, veniva di nuovo soppiantato dalle lotte nazionali e dall'odio etnico - come rileva giustamente Gianni Viola nel suo libro;
  • la ratifica nel 2007 da parte del Congresso Usa della legge sull'ingresso dell'Ucraina e della Georgia nella Nato: "Il Congresso degli USA invita i suoi alleati della NATO a lavorare con gli USA per la realizzazione del ruolo che la NATO gioca nel progresso della sicurezza globale, e, nella prospettiva del suo allargamento, ad accettare come nuovi membri dell'alleanza gli stati che ne sono degni, e in particolare a connettere la Georgia al piano di appartenenza alla NATO...";
  • le negoziazioni tra Stati Uniti e i due stati di Polonia e Cechia, con le quali nel 2008 la Repubblica Ceca dava il via libera alla richiesta nordamericana d'installare sistemi Radar antimissilistici sul suo territorio, mentre la Polonia - d'installare ordigni nucleari a media e lunga gittata;
  • l'attacco della Georgia alle regioni separatiste di Abkhazia e Ossezia meridionale, che ha causato il contrattacco russo. Un contrattacco che l'ex vice-presidente americano Dick Cheney si era affrettato a definire come "un'aggressione contro gli americani". In realtà, tutti sanno che gli americani avevano armato e addestrato l'esercito georgiano. Anche Ucraina ed Israele (Army radio - radio dell'esercito israeliano) non avevano nascosto il fatto di aver fornito ai georgiani grossi quantitativi di armamenti per aggredire le due regioni indipendentiste filo-russe;
  • il conflitto russo-ucraino del gas, fomentato anch'esso in funzione antirussa. Basti solo riflettere sul fatto che Viktor Yushenko, attuale presidente dell'Ucraina, è tuttora il leader indiscusso dell'opposizione filo occidentale nel suo paese, e che è sposato con Kateryna Chumachenko, membro influente dell'Ukrainian Congress Commitee of America (la lobby ucraina a Washington), già funzionario del governo di Bush senior e attiva collaboratrice di Brzezinski;
  • infine, il flusso crescente di denaro occidentale a favore di Ong straniere che lavoravano in Russia (definite da Putin "burattini di organizzazioni occidentali"), con l'intento d'interferire nelle questioni interne dietro il pretesto dell'ideologia democratica. Ma il fine - affermava Putin - era un altro: l'acquisizione in maniera unilaterale di vantaggi destinati a proteggere gli interessi delle potenze occidentali. Zjuganov aveva di recente affibbiato a queste Ong, e ai vari movimenti russi filo-occidentali racchiusi sotto lo slogan "Marcia dei dissidenti", il "ruolo di 'quinta colonna' diretta dai servizi segreti americani e dagli agenti della Cia".
È possibile, come fanno alcuni osservatori politici occidentali, sostenere tout court la tesi che la Russia stia "soffrendo di una sindrome di grande potenza che ha perso l'impero" e che concepisce, di conseguenza, tutti questi fatti in modo paranoico, come un "complotto ordito a suo danno"? E come interpretare, allora, il ricatto americano di smembrare Gazprom (parte estrattiva e parte distributiva) nel periodo della crisi asiatica? E che dire dell'adesione dei Paesi Baltici alla proposta di George W. Bush di costruire un "fronte unico in funzione antirussa", o della violazione delle clausole del Trattato sulle forze convenzionali in Europa (Cfe) da parte della Nato, in relazione alla questione dello scudo missilistico Usa in Polonia e nella Repubblica Ceca, o ancora del mancato rispetto degli accordi del 1992 e 1999, secondo cui era stato stabilito insieme con la Georgia che Mosca si sarebbe fatta garante della pace nell'Ossezia del Sud (a tale scopo, venivano inviate forze militari russe d'interposizione per vigilare sulla situazione), e che era obbligata, nel caso in cui una parte avesse violato tali accordi, a difendere l'altra? Qualche ripensamento sull'espansionismo di Bush si è avuto anche in Usa. Afferma il giornalista americano conservatore Patrick Buchanan: "Immaginate se fosse accaduto l'inverso. Se fosse stata Mosca a inglobare l'Europa occidentale nel Patto di Varsavia. Se avesse stabilito basi in Messico e Panama, piazzato missili e radar a Cuba, e si fosse unita alla Cina a costruire oleodotti per trasferire il greggio venezuelano e messicano nel Pacifico per imbarcarlo verso i porti asiatici. Se ci fossero consiglieri russi e cinesi ad addestrare gli eserciti latino-americani, come noi facciamo nelle repubbliche ex-sovietiche: Come avremmo reagito?" (1). Il conservatore liberale Sergio Romano, già ambasciatore a Mosca, in un'intervista rilasciata a "Rai News 24" (2) parla - voce fuori dal solito coro! - degli errori commessi dagli Usa nei confronti della Russia: "Si accusa la Russia di usare con prepotenza le sue risorse energetiche. Ma essa fa i suoi interessi, soprattutto quello di modernizzarsi e stare al passo con i paesi più sviluppati, dopo essere riuscita a liberare Gazprom e Yukos (adesso fusa dentro Rosneft) da potenti, corrotti e malavitosi oligarchi. È forse una colpa? Dick Cheney recentemente è stato a Riga, in Lettonia (maggio 2006), e ha affermato che le politiche energetiche russe verso l'Ucraina e le repubbliche Baltiche sono da considerarsi una vera e propria aggressione e come tali vanno trattate sulla base degli accordi del patto Atlantico del 1949. Se lei fosse a Mosca come giudicherebbe una dichiarazione di questo genere?".
E sempre Romano, in un articolo uscito su "Le opinioni di Panorama.it", dichiarerà: "Gli americani non hanno capito che l'adesione dell'Ucraina e della Georgia alla Nato sarebbe stata considerata a Mosca un'intollerabile invasione di campo. Non hanno capito che l'installazione di basi americane in Polonia e Repubblica Ceca sarebbe stata percepita in Russia nello stesso modo in cui gli Stati Uniti percepirono l'installazione di missili sovietici a Cuba nel 1962. Non hanno capito che Vladimir Putin è popolare nel suo paese proprio perché lo ha sollevato dallo stato di prostrazione internazionale in cui era caduto all'epoca di Boris Eltsin" (3).

La crociata neoliberista, guidata da Thatcher in Inghilterra e da Reagan negli Stati Uniti dalla fine degli anni '70, aveva adottato come fondamentale il valore delle libertà individuali strumentalmente utilizzato per il suo significato universalmente riconosciuto, allo scopo di ottenere il consenso popolare sulle pratiche neoliberiste. Sostenendo che quel valore fosse garantito dalla libertà del mercato e dello scambio, quindi minacciato dal comunismo e da tutte quelle forme interventiste che sostituivano al libero arbitrio degli individui le decisioni e il benessere collettivo, fu costruita una cultura populista del consumismo rampante, della competitività basata su avidità, cinismo ed egoismo, propria del sistema globale del mercato neo-liberista. Come affermava il sociologo francese Bourdieu, dietro il mantra ossessivo della necessità di esportare la democrazia e della difesa dei diritti umani vi era, in realtà, null'altro che "un apparato retorico che si prestava semplicemente a legittimare il progetto neoliberista su scala globale". Il declino di redditività dei settori industriali (essi avevano guidato l'espansione a partire dalla fine della seconda guerra mondiale - l'epoca d'oro del capitalismo), causa di una crisi di sovrapproduzione e sottoconsumo, che stava facendo entrare l'economia-mondo in una lunga fase di stagnazione, spinsero l'establishment americano (ed occidentale) politicamente conservatore ad assumere il già citato decalogo del "Washington Consensus" e adeguate "riforme" dettate dal FMI, dal WTO e dalla BM, con lo scopo di favorire una liberalizzazione demenziale dell'economia, deteriorando gravemente le condizioni di vita d'intere popolazioni mondiali e colonizzando economicamente interi stati - esempio: il Brasile negli anni '80 e la Russia negli anni '90 - per la conquista di nuovi mercati e frenare, quindi, "la caduta tendenziale del saggio di profitto", secondo la classica formula economica marxiana.

Per poter realizzare su scala mondiale e senza intoppi questi programmi, tale establishment doveva porsi come obiettivi centrali lo smantellamento:
  • delle socialdemocrazie europee e dei partiti comunisti dell'Occidente;
  • del comunismo sovietico e delle democrazie popolari nell'Europa centro e sud orientale e nei Balcani (più in generale, di tutto il "campo socialista");
  • delle tendenze neo-marxiste, che si erano affermate nel Terzo Mondo. Da parte dell'Occidente vi era, infatti, la consapevolezza che la battaglia contro il comunismo si sarebbe dovuta condurre non solo in Europa ma anche nei paesi "in via di sviluppo". Nel libro di Gianni Viola vi è (non a caso!) un capitolo intero - il terzo (Appendice compresa) - dedicato al Terzo Mondo, nel quale è spiegato molto bene il ruolo dell'imperialismo yankee (e del contributo determinante della Chiesa cattolica romana - di cui parlerò più avanti) nel contrastare, ad esempio, la "chiesa del popolo" nicaraguense (allineata con i sandinisti) o la "teologia della liberazione". Imperialismo che aveva contestato duramente anche scuole di pensiero come quella pedagogica di Paulo Freire, correnti economiche come la "teoria della dipendenza", divenuta molto popolare negli anni '60 e '70 per la sua critica alla teoria della modernizzazione, correnti di studio come i "subaltern studies", che rivolsero le proprie critiche contro l'idea occidentale di modernità e le sue modalità di conoscenza "orientaliste" denunciate da Said, mirando ad una decolonizzazione dei saperi ed, infine, altre correnti di studio come i "cultural studies", i "postcolonial studies" e i più recenti "decolonial studies". Come afferma lo storico Andrea Catone: "La guerra mondiale al comunismo fu combattuta con diverse armi e su più fronti, dalla guerra aperta (Corea, Vietnam), a quella 'a bassa intensità' - squadroni della morte e contras in America Latina - al colpo di stato - Indonesia, Grecia, Cile... - al sostegno a tutte le forze anticomuniste all'interno dei paesi socialisti" (4). Sorvolo su altri fatti, rientranti nella strategia statunitense di destabilizzazione dei paesi dell'Est europeo, come quello, ad esempio, ampiamente discusso da Viola nel cap. I - relativo all'attentato al Papa Giovanni Paolo II e ad esso connesso dell'invenzione della "pista bulgara" e di quella più recente della "pista sovietica" (1999); oppure quello delle Ong di emigranti dei paesi Baltici negli Usa (la più grande di queste è la "Joint Baltic-American National Committee" - JBANC), la cui direttrice generale fu sempre la "lotta contro il bolscevismo sanguinario", che dalla fine degli anni '80 - inizio anni '90 sostennero l'ingresso dei paesi del Baltico nella Nato e che attualmente hanno come compito prioritario quello di ottenere dalla Russia il risarcimento per l'occupazione sovietica delle Repubbliche baltiche. Piccolo inciso: alcuni di quegli espatriati fuggirono in America, poiché, "allo scopo di combattere il nemico sovietico invasore, erano diventati 'collaborazionisti' dei nazisti durante la II guerra mondiale" (sic!).
Per quanto riguarda la caduta dell'Urss, credo, innanzitutto, che essa sia stata il risultato dell'azione congiunta di "molteplici" fattori (non tutte le "colpe" sono, quindi, da imputare all'offensiva occidentale), tra cui - a partire dalla seconda metà degli anni Settanta:
  • il rallentamento e la stagnazione dell'economia, le disfunzioni esasperanti nella distribuzione dei beni di consumo, la qualità scadente dei prodotti, gli sprechi, le strozzature nell'attività produttiva, la distanza crescente dei livelli tecnico-scientifici e dei tassi di sviluppo rispetto al capitalismo occidentale, il deficit di democrazia (non nel senso occidentale di assenza di forme del parlamentarismo liberal-democratico, ma di svuotamento del potere decisionale dei soviet, sindacati, collettivi di lavoro e di altre organizzazioni di massa; di costituzione di una oligarchia capitalistica di stato, poiché non si era proceduto alla realizzazione della società dei produttori associati). Non vado oltre a descrivere le deformazioni e degenerazioni dell'economia e della società di tipo sovietico, poiché su questo esiste ormai una vasta letteratura. Mi preme qui sottolineare come queste "anomalie" avessero già portato l'Urss ad una crisi "sistemica", per cui la "costruzione del socialismo" in quel paese era già da tempo pesantemente compromessa. Lo dimostra il fatto che l'Unione sovietica crolla alle prime crepe provocate dal pluralismo e dall'introduzione della libertà economica. Penso che Gorbaciov almeno nella prima fase di "glasnost' e perestrojka" (1985-1988) avesse puntato a salvare il socialismo nel suo paese, dandogli un volto democratico. Nella seconda fase (1989-1991), con le sue decisioni d'introdurre l'economia di mercato, disconoscere i principi del leninismo e il modello comunista perché "inservibile", non fece altro che colpire il suo popolo e assolvere alla funzione di liquidatore del campo socialista; e così fu, infatti, con le "rivoluzioni" del 1989 e con la successiva dissoluzione dell'Urss nel 1991;
  • il fardello economico (milioni di dollari l'anno!) per il mantenimento degli stati-cuscinetto (i paesi del Patto di Varsavia), necessari all'Urss per motivi di sicurezza e, più in generale, dei paesi satelliti (esempio: Cuba, dopo che iniziò a ricevere aiuti economici e militari), con il formarsi, di conseguenza, di una voragine nei conti e la sottrazione d'ingenti risorse al "welfare" del paese;
  • il ricorso ai crediti del FMI già negli anni Ottanta, per sostenere i livelli di vita della popolazione e fronteggiare i primi segnali di disoccupazione, con l'accumulo di un debito estero spaventoso, che spinse poi negli anni Novanta la Russia post-sovietica ad adeguarsi al piano di aggiustamento strutturale voluto da FMI e BM;
  • le conseguenze delle divisioni all'interno dello stesso campo socialista e le rivolte antisovietiche nelle repubbliche democratiche dell'Europa centro-orientale;
  • il confronto internazionale sul piano militare. Gli anni 1981-1984 furono per Reagan quelli dell'aggressività in campo internazionale: l'Urss - come amava dire - "andava guardata dritta negli occhi". Egli aveva compreso che il colosso sovietico posava ormai su di una base di argilla. Decise, quindi, di dare avvio ad una politica assertiva non solo per "contenere" l'Urss, ma anche per "attaccarla" nei settori geostrategici fondamentali. Quegli anni furono quelli del confronto internazionale e del progetto difensivo missilistico spaziale chiamato SDI ("Strategic Defense Initiative", il sistema delle "Guerre Stellari"), che mandò in tilt Gorbaciov e lo spinse a ricercare la cooperazione e la distensione (l'"appeasement") con gli americani (anni 1984-1988). Sui risvolti di questa vicenda rimando al libro di Viola (Il piano di attacco "spaziale"; Cap. 1 - l'introduzione del capitalismo). Fatto sta che la politica della "non violenza" di Gorbaciov, "lasciò campo libero alla violenza unilaterale degli Usa (le prove generali furono fatte nella prima guerra del Golfo agli inizi del 1991) e a quella del mercato capitalistico, che distrusse il sistema di protezione sociale, lasciando sul terreno milioni di immiseriti e morti per fame" (Catone - op. cit.). Siamo già nell'era di Eltsin e dei suoi stretti consiglieri, i vari Gaidar e Chubais (anche qui vale l'appunto che i predatori non furono solo le multinazionali occidentali, ma anche le criminali oligarchie e lobby russe), che imbevuti degli studi economici - associati al lavoro di Milton Friedman e dei suoi "Chicago boys" - e sostenuti dall'"Havard Institute for International Development's Russia project" (finanziato dall'amministrazione Clinton) avevano completamente svenduto il paese agli oligarchi russi di prima fila e alle imprese occidentali con la politica dei "prestiti in cambio di azioni". In un articolo di Sam Husseini and Janine R. Wedel si poteva leggere: "(...) U.S. policy toward Russia has contributed to that country's sorry conditions - with the Havard Institute for International Development's Russia project (HIID) playing a major role" (5).
Sugli anni bui di Eltsin desidero solo evidenziare le tre "punte di un iceberg". Il neoliberismo russo ha generato:
  • quello che forse è stato il maggiore incremento della povertà della storia russa in un breve lasso di tempo (escludendo i periodi di guerra e le carestie), con una riduzione drastica della speranza di vita ed un aumento dei tassi di mortalità sia infantile che adulta;
  • la comparsa di nuovo sulla scena dei bezprizorniki (bambini senza fissa dimora): 200mila! E qui riprendo una frase citata nel libro di Viola: "La Russia ha conosciuto altre due ondate di 'bambini senza fissa dimora', la prima fu conseguenza della Prima Guerra Mondiale, della Rivoluzione e della guerra civile, la seconda fu causata dalla Seconda Guerra mondiale, la terza, quella attuale, è stata posta in essere dalla introduzione del capitalismo". Non sono, dunque, credibili - come afferma a ragion veduta Viola - tesi come quella sostenuta dal segretario generale della Confindustria, Cippolletta, secondo cui la nascita di un certo tipo (sottolineo di un "certo tipo") di povertà nella Russia degli anni Novanta sia addebitabile ad "una conseguenza strutturale derivata dai meccanismi del sistema sovietico (...) bensì - controbatte Viola - l'evidente risultato di precise scelte politiche ed economiche in direzione del neoliberismo che, in tutto il mondo, presenta (...) condizioni d'ingiustizia e di degrado umano";
  • un mondo criminale senza precedenti. A questo proposito rinvio alla lettura del libretto di Claudio Fracassi "Russia. Che succede nel paese più grande del mondo" (1996), dove è ben documentato l'intreccio tra politica, economia e criminalità russa. Ha fatto bene Viola a dedicare una parte del suo libro ai temi della corruzione e della criminalità russe, poiché "l'introduzione dei meccanismi capitalistici, dunque del libero mercato, ha favorito (...) il crimine organizzato...", potendo, inoltre, contare quest'ultimo sulle "strutture portanti dello Stato" e, dunque, proliferare molto bene in quell'humus.
In seguito Putin ha modificato il volto della Russia di Eltsin e della sua cricca (lasciando solo intatta la nuova costituzione che affidava un potere quasi illimitato al presidente). Ha stabilizzato il paese, ha risollevato le sue sorti (con la riduzione dei capitali in libera uscita, lo sviluppo del complesso militare industriale, l'aumento dei consumi interni, il completo rimborso del debito estero pubblico), mettendo fine alla disintegrazione nazionale e costruendo una nuova immagine della Russia a livello internazionale. Con le riserve considerevoli di petrolio, gas e minerali preziosi, che la pongono fra i fornitori leader delle materie prime nel mondo, la Russia sta acquisendo un peso geopolitico sempre più attivo sullo scacchiere mondiale. Certo, il paese è ancora ostaggio di una crescita fondata sull'export di idrocarburi. Molti problemi di natura strutturale restano ancora aperti e senza risposta: la disoccupazione, la sperequazione sociale, la povertà endemica, il serio declino demografico. Preoccupante è il clima di centrismo, autoritarismo e nazionalismo che si respira nel paese. Il nuovo presidente Medvedev non ha sostanzialmente modificato nulla della politica a cui si è ispirato Putin.

Obiettivo di Reagan fu anche quello di allearsi con Papa Giovanni Paolo II, soprattutto sul fronte polacco nella rivolta di Solidarnosc, guidata da Lech Walesa, per aprire falle nell'impero sovietico e nutrirle con la propaganda e il sostegno emotivo (memorabile il discorso ai piedi del Muro di Berlino da parte di Reagan, con la frase "Mr. Gorbaciov, abbatta questo muro"). Gorbaciov stesso espresse poi parole di apprezzamento per il ruolo svolto da Wojtyla nella demolizione dei regimi comunisti. Ai tempi della sua collaborazione giornalistica con "La Stampa", l'ex presidente russo ebbe modo di scrivere in un articolo del 3-03-1992: "Oggi possiamo dire che tutto ciò che è successo in Europa orientale in questi ultimi anni non sarebbe stato possibile senza la presenza di questo Papa, senza il grande ruolo, anche politico, che lui ha saputo giocare." Parole che Carl Bernstein - autore nel febbraio 2002 dell'inchiesta sul "patto segreto" tra Reagan e Wojtyla per l'appoggio a Solidarnosc e lo scardinamento, per tale via, del regime comunista polacco - ha definito, nell'aprile '92, nella sua prima corrispondenza per "Il Sabato", come il "disvelamento di uno dei più grandi segreti del secolo ventesimo". All'ex presidente polacco Walesa, intervistato da Jas Gawronski per "La Stampa" (9-05-93), fu posta la seguente domanda: "Chi ha determinato il crollo del comunismo? Sarebbe d'accordo su una classifica di questo genere: Giovanni Paolo II, Walesa, Gorbaciov, Reagan". La risposta fu: "Certamente il ruolo del Papa è stato molto importante, direi determinante. Gli altri sono tutti anelli della catena...". Dopo che il 24-02-92 il "Time" pubblicò l'inchiesta di Carl Bernstein sul "patto segreto" tra Reagan e Wojtyla (con molti dettagli relativi, ad esempio, al ponte radio istituito tra il Vaticano e il cardinale Józef Glemp, a Radio Free Europe e Radio Liberty, trasmissioni per molti anni associate alla CIA, all'"arruolamento" da parte della CIA del vice-ministro polacco della Difesa, o al fiume di quattrini americani inviati in Polonia a sorreggere il sindacato di Solidarnosc) ci fu imbarazzo negli ambienti vaticani. Non, invece, da parte di Reagan, il quale non negò mai (vedi fascicolo di "Panorama" del 22-03-1992) che il suo intento e quello di Wojtyla fu fin dall'inizio quello di unirsi per sconfiggere "ovunque" le forze del comunismo. "Ovunque". Viola dedica una parte del suo libro allo schieramento del Vaticano anche contro i fautori del "Vangelo dei poveri" in America Latina, alle pesanti pressioni ecclesiastiche verso gli esponenti della Teologia della liberazione (è il caso dell'ex frate francescano Leonardo Boff) e ai silenzi del Papa "che non disse mai una parola sulla compromissione della Chiesa con i militari, e si rifiutò di incontrare le Madri della Plaza de Mayo, donne che avevano visto i loro cari scomparire nel nulla, rapiti dai militari, e che da anni chiedevano giustizia marciando attorno alla famosa piazza della capitale argentina" (Viola). Per gli Stati Uniti era importante, inoltre, che il Papa non condannasse i "contras" nicaraguensi ("venerati da Reagan come 'combattenti per la libertà'"), l'aiuto militare al governo salvadoregno ecc. "La formula americana che Vernon Walters aveva delineato dinanzi a Wojtyla per trattare con quei regimi - incoraggiare la transizione verso la democrazia cercando di bloccare le forze di sinistra allineate con Cuba e l'Urss, ora era anche la politica del Vaticano" (Viola).

Il neoliberismo ha fomentato conflitti nazionali assopiti e il terrorismo globale, manipolato identità ed esasperato i fanatismi religiosi, destabilizzando il "nuovo ordine mondiale". Per Samuel Huntington - in questo certamente più realista e lungimirante di Fukuyama - quello che è avvenuto a partire dal crollo del comunismo non è stato tanto il trionfo della democrazia liberale su larga scala quanto il trionfo, appunto, dell'odio etnico, del nazionalismo e del fondamentalismo religioso.
L'etnonazionalismo e l'integralismo religioso sono fenomeni complessi, che stanno investendo molti paesi. Esistono, delle profonde differenze tra i vari etnonazionalismi e integralismi, riconducibili alla loro diversa genesi, alla posizione che essi occupano nei vari paesi e alle differenti capacità che hanno di mobilitare le masse. Per quanto riguarda i paesi dell'Est europeo, già pochi anni dopo la caduta del Muro, la spinta dell'orgoglio nazionale divenne più forte del fascino del mercato e del pluralismo. Nuovi leader e nuovi partiti abbracciarono il revanscismo, lo sciovinismo nazionalista, il populismo xenofobo, il fondamentalismo cattolico (vedi Polonia), anche come risposta al neoliberismo imperniato sulle terapie shock del FMI e della BM. Oggi, l'acuirsi della recessione economica mondiale ha intensificato questi fenomeni: la destra xenofoba avanza in tutta Europa, con un boom che caratterizza in particolare la sua parte orientale. Anche la Russia ed altri paesi dell'ex Urss (in alcuni dei quali si sono affermati, nel frattempo, regimi autoritari - esempio: repubbliche dell'Asia Centrale) si confrontano con queste manifestazioni. Il loro rafforzamento può facilmente tradursi in "venti di guerra" in un quadro internazionale già avverso, che racchiude enormi pericoli per la stabilità e la sicurezza nel mondo, e dove, superata l'epoca del bipolarismo, si sta sempre più delineando una nuova epoca multipolare (l'opposto di quanto predicato dagli apologeti della globalizzazione, che avevano pronosticato l'avvento dello stato cosmopolita e il tramonto degli stati nazionali), con il declino dell'egemonia statunitense e l'imperiosa ascesa di altri stati e continenti, in primis dell'Asia orientale - e, di conseguenza, con le incerte prospettive di riorganizzazione dell'ordine mondiale che i mutati equilibri nei rapporti di forza su scala planetaria hanno indubbiamente aperto.

Cristina Carpinelli

Note:
1. In luposimo.org.
2. "Sergio Romano, una voce fuori dal coro", 26-08-2008. In: ruvr.ru.
3. "Romano:Sulla Georgia, due pesi e due misure". In: "Le opinioni di Panorama.it", 22 agosto 2008.
4. "Sviluppo e crisi del 'socialismo reale'", in: "1917-2007 novantesimo anniversario della rivoluzione di ottobre" - atti del convegno organizzato dal "Comitato 7 novembre" (a cura di Cristina Carpinelli), nov. 2008, pag. 66.
5. Harvard's "Best and Brightest" Aided Russia's Economic Ruin Institute that advised "reform" fed corruption. In: FAIR - January.February 2000.

NOTA DELL'AUTORE:

La prima volta che mi resi conto dell'esistenza di un complotto internazionale ai danni dell'Unione Sovietica, fu in occasione del convegno "I credenti in URSS oggi", svoltosi all'Hotel Columbus, di via della Conciliazione a Roma, nel marzo del 1988. Fu proprio in quelle circostanze che incontrai alcuni esponenti di "Radio Free Europa-Radio Liberty", il cui linguaggio mi ricordava molto da vicino espressioni già sentite in diversi film ambientati all'epoca del maccartismo, della "caccia alle streghe": la lotta contro il male assoluto dell'URSS (secondo lo slogan di Reagan) e la difesa della civiltà occidentale. Lì per lì, quelle espressioni mi sembrarono più i tratti verbali di un atteggiamento folcloristico, che non delle esternazioni politiche. Poi, con il trascorrere del tempo, ebbi invece modo di ricredermi della mia immensa ingenuità.

Per capire in quale misura i miei sospetti potessero essere generati da un pregiudizio politico, accettai di intervistare, nel 1989, uno dei dissidenti presenti in una delle molte occasioni di incontri, che all'epoca, si susseguivano a ritmo continuo. Si tratta di tale Bohdan Rebryk (sui particolari della cui vicenda si rimanda al testo), il quale, in pochi minuti, mi convinse che, invece, i miei sospetti erano più che fondati. In pratica, trovandomi "al posto giusto nel momento giusto", avevo avuto la possibilità di verificare direttamente il peso morale di "poveri" personaggi che, al di fuori di quel contesto, erano invece considerati con molto rispetto, osannati, foraggiati e non raramente insigniti di "lauree ad honorem" (in quel settore fu generosissimo l'Ateneo di Bologna...), conferendo titoli e prebende a personaggi del livello di Andrei Sacharov (grande ammiratore della "democrazia statunitense") e di Lech Walesa, suddito del papa, sul cui spessore culturale conviene tacere...

Non bisogna dimenticare, inoltre, che, contemporaneamente al richiamo ossessivo ai diritti umani, ai valori cristiani e al rispetto della vita, diuturnamente posto in campo da tutti i personaggi impegnati nella lotta contro l'Unione Sovietica, vi era un "pellegrinaggio" di devoti, i quali, regolarmente si recavano nei templi della politica statunitense, per chiedere (e ottenere) - si direbbe una grazia! - ora un "embargo", ora una sanzione punitiva, ora una legge federale, che in qualche modo potesse affamare, porre in difficoltà, insomma ricattare il mondo "sovietico", che andava demolito e distrutto (come l'antica Carthago da parte dei romani) solo perché - e non vi era altra ragione logica - non aveva ancora aperto le porte agli uomini d'affari (investitori-predatori) occidentali. Quando io, con fare simulatamente ingenuo, chiesi ad un esponente del Vaticano, perché si richiamassero i valori "cristiani" per demolire l'URSS, mentre di quei valori non c'era più traccia nella vita reale... lui mi rispose, che si trattava di una "semplice operazione politica". E io di rimando: "e allora, perché, quando qualcuno vi accusava di ipocrisia, voi vi indignavate, respingendo l'accusa di essere degli 'agenti al servizio del nemico'?". A quella domanda non seguì alcuna risposta.

Fu questa circostanza che mi convinse dell'opportunità e dell'urgenza di scrivere un libro per spiegare in termini organici ed esaustivi, "come e perché" l'Unione Sovietica fosse stata realmente aggredita a morte. Da chi, per conto di chi, con quali mezzi e con quali risultati. Alla fine ne ho tratto una testimonianza "dal di dentro", di una storia, se vogliamo "squallida", ma vera, la quale, pur di apparire attraente, giungeva ad abusare di locuzioni quali, appunto, "diritti umani", "libertà", "democrazia", facendo leva, esasperandoli, soprattutto sui fanatismi religiosi e nazionalistici. Per la sua stesura, mi sono servito di ciò che io provai, appresi e dedussi in quelle circostanze, ma sostenendolo in grande misura con documenti e testimonianze certe. È auspicabile che io abbia raggiunto lo scopo di squarciare quel velo di sottile-densa ipocrisia che, da sempre, ha coperto tutte le vicende legate alla fine dell'URSS. Nondimeno va ribadito che questo libro non è una difesa d'ufficio dell'Unione Sovietica che, in quanto tale, sarebbe necessariamente insieme formale e parziale, quindi non improntata a spirito di giustizia giuridica e scientifica. Essa è invece un'accusa contro la pretesa occidentale di decidere del destino di quelle società e di quei popoli che, per ragioni storiche o vicende politiche, si siano trovati a percorrere strade incompatibili con i valori correnti del capitalismo.

Non è retorica infine affermare che, dallo sfacelo dell'URSS (durante o subito dopo) derivarono tutti gli episodi distruttivi, che hanno caratterizzato l'ultimo ventennio, dal 1989 al momento attuale. Così la prima e la seconda guerra all'Irak (1990-2003) e la guerra del Kosovo e, prima ancora, una serie di attacchi e provocazioni alla Jugoslavia (1990-1999), senza contare tutta la faccenda del 2001 (il cosiddetto - del tutto discutibile - "11 Settembre") con la conseguente e "pretestuosa" aggressione all'Afghanistan. Fino a giungere, da ultimo, a tutte le provocazioni degli USA, di concerto con l'Europa, nei confronti della Russia, vedi ad esempio i fatti di Georgia, facenti parte della strategia del persistente accerchiamento occidentale, contornata delle cosiddette "rivoluzioni colorate".

Chi ricorda, infine, il gen Clark, comandante delle truppe NATO all'epoca dell'aggressione alla Jugoslavia, losco figuro, bisognoso di urgente trattamento psichiatrico, il quale seguiva la guerra al computer, saltando di gioia ogni volta che registrava una visibile distruzione operata dai suoi soldati in missione genocida?

Ma v'è un altro motivo per cui ho ritenuto opportuno e necessario scrivere un libro del genere... Per lavarci le mani, dopo aver sfiorato quei "figuri", che nel tempo in cui l'URSS stava per finire, giravano attorno al moribondo come gli avvoltoi attorno alla carogna. Questi personaggi avevano un nome. Erano i sovietologi, vile razza cortigiana, il cui malodore appestava le grigie sale in occasioni degli innumerevoli, squallidi e lugubri incontri. Oggi, tali personaggi, quando rimasti senza lavoro, si sono ricollocati in ambienti consoni e ogni tanto cercano disperatamente qualche "idiota" da difendere, si tratti di un sedicente "democratico" che lotta contro la ricerca nucleare dell'Iran, o di un "desperado" che ha fallito un attentato a Cuba, dopo aver ricevuto le armi dai mafiosi di Miami. Infatti - e questo è il persistente filo conduttore della politica dell'imperialismo del Pentagono - l'importante è lottare per un mondo USA-compatibile. Il resto decisamente non conta, anche se significa morte e distruzione dell'umanità.

Gianni Viola

INTRODUZIONE:

Una descrizione insospettabile della "povertà" dei russi attuali, proviene dal giornalista Sandro Viola de "La Repubblica", insospettabile perché si tratta di un cronista dichiaratamente schierato a favore del sistema capitalista e nella fattispecie limpidamente favorevole all'introduzione del liberismo in Russia. Ecco quanto scrive nell'ambito del servizio intitolato "Lotta a corruzione e povertà - Putin progetta la nuova Russia" (1): "(...) C'è da ricondurre a livelli accettabili di vita 40 milioni di russi almeno che vegetano sotto la cosiddetta soglia di povertà: vestiti di stracci, vale a dire malnutriti, ammalati. C'è da procurare un lavoro a 12 milioni di disoccupati, e da pagare ad altri milioni di russi il salario arretrato. Ci sarebbe da rimettere in ordine, prima che si verifichi un'altra catastrofe come a Chernobyl, le centrali nucleari, oggi rappezzate col fil di ferro, dove s'entra ed esce senza alcun controllo, paurose mine vaganti per la Russia e i paesi vicini. Per non parlare del servizio sanitario e della scuola, da anni allo sfascio". "La lista non finisce qui, anzi, giunge adesso ad una delle voci principali: la corruzione. L'illegalità in cui si svolge gran parte della vita economica (...)".

E verrebbe a questo punto da chiedersi: non "fu" per instaurare uno stato di diritto che il socialismo fu abbattuto in "Russia" nel 1991? Perché mai, dopo la fine del sistema sovietico, oggi si dovrebbe minimamente immaginare di dover stare peggio di prima? Non potrebbero essere tutte queste notizie così "allarmanti" solo delle calunnie dei propagandisti ex comunisti? E se è vero che si sta peggio di prima, coloro i quali indicavano invece uno sbocco differente dell'evoluzione sociale e politica in Russia, dovrebbero o non ammettere di essersi sbagliati e conseguentemente chiedere scusa ai milioni di russi ora affamati per causa loro o alle centinaia di migliaia (ora, forse, saranno già milioni?) di "bambini randagi" perduti nella cloaca di un sistema liberista, dove ciò che conta sono solo i "business, le puttane e i puttanieri"? C'era proprio bisogno di scomodare i "grandi ideali della Rivoluzione Francese" o i "sentimenti religiosi" per realizzare un tale "immondezzaio"? Ed è lecito a questo punto almeno ricordare che alcuni personaggi (dirigenti del PCUS.) che per 70 anni dissero peste e corna del capitalismo oggi sono fra i più strenui e fanatici assertori dell'economia liberista?

Forse, meglio di noi, può rispondere un "cittadino" della Nuova Russia, che i benefici di tali cambiamenti li ha goduti e provati interamente sulla propria pelle:

"Per favore, signor Presidente, emetta un decreto che consenta ai vecchi e ai deboli di andarsene all'altro mondo di propria volontà. Per esempio io scrivo una dichiarazione, in base alla quale riconosco che vivere al di là delle mie possibilità, visto che la pensione la pagano con tre mesi di ritardo, che ho freddo e fame, che non ho prospettive davanti a me. Si crea una commissione, il medico testifica che in ogni caso potrei al massimo prolungare la mia vita per un paio d'anni. Il capo dell'amministrazione locale dichiara che nel corso dei prossimi due anni nulla cambierà nella situazione. L'assistenza mi consegna il tagliando per il posto al cimitero. Io prendo congedo da tutti, ingoio una pillola e me ne vado a letto. Al mattino tutto sarà finito. Sarà un bene per la patria e per noi sarà più facile. In fede. L.A. Romanov, città di Kemerovo, Siberia occidentale."

Questa drammatica dichiarazione è stata pubblicata dal settimanale "Argumenty i Fakty" (2), del resto notoriamente famoso per essere stato, insieme al suo direttore, Vladimir Andreevic Starkov, come afferma Giulietto Chiesa "uno dei più sfegatati sostenitori del potere eltsiniano".

Non sarà inutile ricordare che questa lettera comparve quattro mesi dopo la conclusione della campagna elettorale presidenziale, "nella quale Boris Eltsin aveva preso l'impegno solenne di chiudere i conti - cioè di pagare le pensioni arretrate - con i pensionati prima che giungesse l'autunno. Quando il signor Starkov Vladislav Andreeevic pubblica la lettera del pensionato Romanov L.A., l'indebitamento dello Stato verso i pensionati è salito alla cifra di 16 milioni di rubli, pari a 3 miliardi di dollari, e sta crescendo al ritmo del 6% al mese (...)".

Quest'attuale società "da giungla" è stata imposta in Russia un po' prima che Gorbaciov se ne uscisse con il "teatrino" della perestrojka, esattamente tre anni prima del suo insediamento al Cremlino, dunque nel 1982, quando dai negozi sparì tutta la roba, quasi per incanto. Tre anni dopo spuntò Gorbaciov, sei anni dopo finì l'U.R.S.S. e finalmente nel 1993 Eltsin prese il potere bombardando il Parlamento e ricevendo i ringraziamenti degli "investitori" occidentali.

La nascita di questo tipo di "povertà" oggi presente in Russia non è dunque una conseguenza strutturale derivata dai meccanismi del sistema sovietico, così come sostenuto dal segretario generale della Confindustria, Cipolletta (3), bensì l'evidente risultato di precise scelte politiche ed economiche in direzione del neoliberismo che, in tutto il mondo, presenta (con sfumature che hanno solo il carattere di particolari folclorostici) condizioni d'ingiustizia e di degrado umano. Le misure neoliberiste che più immediatamente hanno provocato il primo insorgere della povertà in Russia, sono state la distruzione del sistema di distribuzione e la privatizzazione delle abitazioni. Fare finta che le cose non stanno in questo modo significa tentare di avere ragione a tutti i costi. Ovviamente per coloro i quali sono abituati a "vincere" attraverso la forza del denaro, riesce facile immaginare che anche la "verità" possa essere messa a tacere con la stessa forza. Loro malgrado, non è sempre così.

Scriveva in quei giorni Gorbaciov:

"Stavano prendendo forma i contorni di un nuovo ordine mondiale che avrebbe prospettato nuove frontiere di lotta comune contro la povertà, la fine della corsa alle armi, una nuova sicurezza internazionale. Poi arrivò la fine dell'Unione Sovietica. E tutto fu dimenticato.
In Occidente prevalse la presunzione della vittoria, l'euforia della vittoria. In un momento di cambiamenti radicali fu proclamata la vittoria occidentale, la fine della storia. I dieci anni che seguirono furono anni di silenzio rispetto a tutte le questioni vitali che stavano di fronte all'umanità moderna."

Nel 1999 la rivista australiana "Nexus New Times Magazine" pubblica un eloquente articolo di Brian Becker, ripreso dal "Workers World Newspaper" (4) dove troviamo scritto che: "Durante la Guerra Fredda, i determinatori della politica statunitense sostenevano di opporsi al socialismo sovietico poiché privava la popolazione della "libertà personale" e "reprimeva l'iniziativa individuale del libero mercato". Ora però è facile vedere che la loro ostilità nei confronti dell'U.R.S.S. era basata sul fatto che era stato impedito alle aziende statunitensi lo sfruttamento delle terre e delle risorse dell'Unione Sovietica."

Tuttavia il vero colpo mortale all'U.R.S.S. giunse dall'accordo fra il Papa Wojtyla e il Presidente Reagan, da cui nacque lo sfacelo dell'Europa Orientale, dell'Unione Sovietica, degli altri paesi dell'orbita socialista fino alla tragedia dello squartamento della Jugoslavia. Che tutto questo possa in qualche modo farsi rientrare in un disegno vaticano di difesa dei "diritti umani" o che esso possa aver rappresentato un trionfo per la giustizia e per la libertà, lo lasciamo dire ai maggiordomi e ai chierici dei padroni nordamericani e ai loro lacché. Noi, con costoro non abbiamo nulla a che spartire.

Note:
1. La Repubblica - 11 Marzo 2000.
2. n. 46 - Novembre 1996.
3. "Pinocchio" - Raidue, Ottobre 1998.
4. Nexus New Times Magazine - edizione italiana - n. 25 - 1999 ; Workers World Newspaper, 9 dicembre 1999.

Capitolo I - I CANNONI DI ELTSIN
1. Mosca come Santiago del Cile:


La "Nuova Russia" è nata il 4 ottobre 1993 con il cannoneggiamento del Parlamento (Soviet Supremo), altrimenti detto "Casa Bianca": chi ha avuto la ventura di assistere al triste spettacolo, è riandato con la memoria all'assalto del "Palazzo della Moneda" di Santiago del Cile, dove, anche lì, come in Russia, si trovava un Presidente, Salvador Allende, con i suoi sostenitori che sfidarono coraggiosamente i sanguinosi attacchi dei pescecani di turno.

Appena due anni prima, nel marzo 1991, Gorbaciov aveva riportato una schiacciante vittoria (con il 70% dei voti) nel referendum per il mantenimento dell'U.R.S.S., nell'agosto dello stesso anno si era verificato un "umile" tentativo di ripristinare la legittimità istituzionale del potere sovietico (con un golpe-farsa degno di una rappresentazione da avanspettacolo), mentre già l'8 dicembre successivo, in una dacia del parco naturale di Belovezskaja Pusca, vicino Brest, in Bielorussia, sei uomini decretavano che "Noi... costatiamo che l'Unione Sovietica, poiché soggetto della legge internazionale e come realtà geopolitica, cessa di esistere" (1).

Con uno spiegamento di forze incredibile inizia l'aggressione delle truppe fedeli a Eltsin, le quali "(...) lanciando un assalto compatto che non poteva concludersi altrimenti che con una vittoria schiacciante e uno spargimento di sangue assolutamente impressionante" 2. L'attacco è condotto da truppe speciali appoggiate da carri armati.

Vi sono dei casi dove: "(...) numerosi poliziotti hanno lasciato il loro posto di guardia e sono passati dalla parte dei rivoltosi. Fonti militari ben informate hanno dichiarato ai mass media che la Divisione Derzhinskaja di 8000 uomini stanziati nella zona est della capitale, si è divisa in due fazioni contrapposte. E secondo il 'ministro' della Difesa nominato dal Parlamento, generale Acialov, tre degli otto distretti militari della Russia erano pronti a schierarsi contro il presidente (2).
Tutte le unità speciali e le truppe scelte della Difesa, degli Interni e della Sicurezza sono state mobilitate, confermando nel fuoco e nel sangue il sostegno che già all'inizio della crisi, il 21 settembre, i ministri Graciov, Erin e Golushko avevano garantito al Capo dello Stato. La divisione blindata Tamanskaja, che con i suoi 8500 uomini era stata la prima a passare dalla parte di Eltsin durante il golpe del 1991, all'alba di ieri mattina ha circondato il pazzo del Parlamento. Poi sono arrivati i paracadutisti della divisione di Tula e le brigate d'assalto di Rjazan. In rinforzo, il Kgb ha inviato gli uomini della divisione Derzhinskaja, che, però non era presente al completo. E nel futuro forse sapremo cosa è successo davvero in caserma, quando l'ordine dell'assalto è arrivato e una parte dei soldati si sarebbe rifiutata d'obbedire.

Il meglio dell'esercito russo è corso a presidiare le strade del centro, circondando la Casa Bianca. Quando si sono visti arrivare i carri armati T-72, gli elicotteri militari, decine di blindati, camionette cariche di soldati in pieno assetto di guerra, s'è capito che l'esercito aveva fatto la sua scelta definitiva a favore di Eltsin. I soldati hanno lanciato una quantità impressionante di bombe, hanno sfondato il muro della Casa Bianca come fosse una fortezza con i cannoni dei carri armati e hanno coperto l'assalto del gruppo Alfa (tiratori scelti dell'ex Kgb) con i mortai e raffiche ininterrotte di mitragliatrici."

Note:
1. Rossijskaja Gazeta, 9 dicembre 1991.
2. "La battaglia di Mosca" - su "La Repubblica" (5-10-93).

Capitolo II - LA FARSA DEI DISSIDENTI
1. Il convegno "Ucraina: una nazione negata":


Il 3 marzo 1989 una mia ricerca riguardante le religioni, intitolata "Enciclopedia delle religioni dell'Unione Sovietica" fu presentata e premiata (Premio P. Ulisse Floridi S.J.) in occasione del Convegno Internazionale "Ucraina: una nazione negata". L'incontro era stato organizzato dal Centro Russia Ecumenica (con cui collaborai con l'incarico di ricercatore, dal 1976, vale a dire dalla data di fondazione fino al 1993, in pratica al colpo di stato di Eltsin), dall'Associazione internazionale per i diritti dell'uomo e dal Comitato Italiano Helsinki. Fra i partecipanti vi figuravano i più bei "campioni" della dissidenza sovietica, quaranta in rappresentanza di ciascuna delegazione, e i relatori al Seminario, vale a dire Bohdan Bociurkiw, emigrato dall'Ucraina occidentale, professore di scienze politiche all'Università di Carleton di Ottawa (Canadà), Mons. Ivan Dacko, segretario personale e cancelliere del Cardinale Slipyi e all'epoca del suo successore Miroslav Ivan Lubachivsky, Canonico del Capitolo di Leopoli (Ucraina) e Cappellano del Papa, Bohdan Nahaylo, scrittore di questioni sovietiche e specialista dei problemi delle nazionalità, nientemeno che ricercatore di "Amnesty International", nonché dal 1984 analista di Radio Liberty di Monaco di Baviera, in pratica al soldo della CIA (da cui si deduce che questa finanzia anche Amnesty International), Andrei Sorokowski, nato negli U.S.A., ricercatore del Keston College (Gran Bretagna) ed "esperto del rapporto tra legislazioni e diritti umani", nonché "specialista nel problema della libertà religiosa in Ucraina", infine Leonid Pliusc, nato in Ucraina, matematico, "famoso detenuto di coscienza in U.R.S.S. negli anni '70 per la sua attività in favore dei diritti civili". Stabilitosi in Francia Pliusc, dimentico del suo passato di difensore dei diritti civili, iniziò un'attività di difesa del capitalismo e dei diritti di tutte le confessioni religiose, purché compatibili con i valori del liberismo economico.

Capitolo II - LA FARSA DEI DISSIDENTI
2. Un dissidente su commissione: Bohdan Rebryk:


Al convegno era presente anche un tale "dissidente" che fu premiato facendolo sedere accanto a Pljusc e facendogli dire alcune parole di circostanza. Questo tale che io conobbi il giorno dell'incontro, era un concittadino di Pljusc. Si chiama Bohdan Rebryk, di Ivano-Frankovsk (ora con la mania di ridenominare le città secondo le terminologie ucraine il nome è cambiato, non importa come).

Non fu quella la prima volta che ebbi l'occasione di incontrare un rappresentante di quella strana categoria di individui genericamente indicati con il termine di "dissidenti". Beninteso prima di incontrarne qualcuno mi ero sempre chiesto in che cosa consistesse il loro dissenso. Strano a dirsi dopo averne conosciuti un bel po' le mie idee in proposito non fecero dei grandi miglioramenti. Ne trassi soltanto un'enorme confusione e solo più tardi, mi convinsi, anche con effetti dolorosi, della vera natura di tutta la questione. Ma non voglio qui anticipare nessuna delle conclusioni cui poi giunsi successivamente, attraverso vari episodi che mi curerò qui di dettagliare, quando necessario, indicando luoghi, circostanze e nomi delle persone incontrate.

Incontrai dunque questo signor Rebryk e lo potei intervistare tramite la gentilezza e la disponibilità dell'amica Olga Brosko, anche lei ucraina e all'epoca collaboratrice della Radio Vaticana (dove curava il programma della propria lingua nazionale).

Lei riteneva, in tutta buona fede, che ciò potesse rappresentare per me una occasione importante per acquisire notizie altrimenti introvabili. Io naturalmente accettai di buon grado, stante la mia naturale disposizione a conoscere la qualunque persona che potesse offrirmi materiali ed elementi per rendere sempre più preciso il quadro della situazione religiosa "sovietica", che in quel momento rappresentava una parte importante dei miei interessi culturali. Oltretutto si trattava di un ucraino occidentale, in pratica di quella parte di Ucraina dove sono sempre fioriti tutti i fanatismi presenti sulla faccia della Terra. Era dunque per me un invito allettante.

Questo Rebryk si trovava in "vacanza" in Italia, ufficialmente "in transito" per recarsi in Germania (vuol dire che all'epoca non esistevano vie dirette R.S.S. Ucraina-Germania Federale...) dove sarebbe stato sottoposto ad un'operazione chirurgica, mi pare l'estrazione di un molare. Il tipo mi sembrò abbastanza rozzo e privo di pathos umano, ma iniziai subito a fargli delle domande, ricevendo in cambio delle risposte che mi sembrarono fossero degli slogans propagandistici e dei "fatti" a bella posta inventati per giustificare la sua posizione di "perseguitato". Tredici anni di galera scontati per attività antisovietica avevano lasciata intatta la sua personalità, a tal punto, da fargli credere che, in Occidente, fossimo tutti degli allocchi tali e quali gli accademici bolognesi che a suo tempo - e senza vergogna alcuna - gratificarono di "lauree ad honorem" personaggi del calibro di Lec Walesa (finanziato dalla Curia Polacca), nonché Andreij Sacharov, grande ammiratore degli Stati Uniti d'America.

Era impossibile che potesse sorgermi il dubbio che alcune delle cose che affermava potessero essere del tutto vere, mentre in verità la sua espressione mi rassicurava che nessuna delle cose che diceva potesse essere in alcun modo vera. Fu lui stesso a togliermi dall'imbarazzo, quando, proprio nel momento in cui mi stavo congedando ed ero quasi sul punto di alzarmi, mostrò di avere ancora qualcosa da dirmi, qualcosa che le mie "semplici ed oneste" domande non gli avevano finora consentito di esprimere. Dunque mi disse, con piglio "giornalistico": "Desidera sapere come viene considerato un individuo in Unione Sovietica?" Io risposi che, sì, mi interessava conoscere questa sua (ultima) rivelazione, sì, ricordo che dissi proprio "rivelazione". Lui dimostrò di essere molto contento del mio atteggiamento che interpretava in senso restrittivamente scherzoso: dal suo sguardo traspariva la soddisfazione di chi si trova davanti ad una persona che è pronta a accogliere (nel modo da lui sperato) ciò che lui sta per dire. Era certo quello uno dei suoi momenti di gloria e non sarei stato io a rovinarglielo.

Capitolo II - LA FARSA DEI DISSIDENTI
3. Prima regola di un dissidente: mentire:


Il signor Rebryk iniziò ad illustrarmi questo grande "segreto" di cui pareva volermi fare partecipe. Mi disse: "Lei ha visto certo come si scrive un indirizzo sulla busta, intendo come si scrive un indirizzo da noi, insomma nel mondo comunista, in Russia, in Ucraina...". Io in verità, continuavo a non comprendere. "Certo", mi dicevo "si tratta di qualche particolare che io non conosco e che finora mi sarà sfuggito. Leggendo la perplessità sul mio volto, lui rincarò la dose e mi disse: "Si tratta di una cosa che dimostra quanto poco conti un individuo per lo Stato comunista". Parlava, ma non mi spiegava nulla. Era chiaro che voleva crearmi una aspettativa per godersi poi il risultato finale (che non ci fu.).

E iniziò: "Veda, la struttura dell'indirizzo postale per come è prescritto si debba scrivere da noi, secondo le direttive del partito comunista, è il seguente: prima si scrive lo Stato, poi la regione, territorio, ecc., poi la città, dopo vi è l'indirizzo con la via e il numero civico, ed infine, proprio posto alla fine dell'indirizzo, si trovano il nome ed il cognome della persona. Mi comprenda, l'individuo è posto proprio alla fine dell'indirizzo, perché la persona, l'individuo da noi non conta niente, ma proprio niente".

Che devo dire? Di fronte a tanta scienza rimasi a bocca aperta... mi pareva di trovarmi davanti ad un mostro di saggezza, non sapevo cosa rispondere, mi sentivo sommerso da tanta verità. Ma trovarmi davanti ad un "dissidente", in carne ed ossa, un vero "eroe", un difensore dei diritti umani, un membro del Comitato Helsinki, era il massimo che potesse capitarmi.

La prima reazione fu di non dire nulla. Non dimenticai di trovarmi di fronte ad una persona che era venuta in Occidente con lo scopo dichiarato di raccontare imbecillità e trarne profitti e riconoscenze. Non lo dimenticai. Ed in quel momento mi sentii sporco per avergli dato la mano, per averlo guardato in faccia ed averlo pure ascoltato. In un primo momento tutte le "risposte" rimasero dentro di me, con la gelosia di chi non vuol unire le proprie umili (ma vere.) conoscenze con le meschinità di un imbecillotto di provincia che passa per la Città Eterna a caccia di suoi simili. Ed io non ero e non sono un suo simile. Ma lì stavamo a due passi dal Vaticano e sarebbe stato duro per lui pensare che a qualcuno, in quelle circostanze, potesse realmente funzionare il cervello. Sono duemila anni che da quelle parti ci si sforza (con grandi risultati) di ridurre l'uomo ad un cretino santificato, io purtroppo non appartenevo a quella categoria.

Avevo iniziato a studiare, con vera passione, la storia della Russia, sin dall'anno 1974 e, al momento in cui mi capitò quella strana avventura, dunque nel 1988, avevo già letti almeno tutti i testi più importanti necessari ad una conoscenza di base della storiografia russa e sovietica. Mi ricordai dunque, di aver letto che la struttura dell'indirizzo, così come tanti altri particolari in uso nell'allora Unione Sovietica e ancora adesso nella Russia odierna, furono a suo tempo stabiliti da Pietro il Grande, oltre duecento anni prima dalla data falsamente spacciata dal signor Rebryk, che avrebbe voluto buttare la croce addosso a Lenin che avrà, di certo tante colpe che potrebbero essergli imputate, ma di certo non riformò mai l'impostazione dell'indirizzo. Da aggiungere in ogni caso che la struttura russa (ma è così, ad esempio, anche in Egitto) dell'indirizzo postale è più razionale e funzionale della nostra impostazione e da sempre io stesso l'ho utilizzata in molte occasioni.

POSTAFAZIONE:

Queste pagine di rigorosa documentazione storica fanno luce su verità molto poco compatibili con la mentalità di moltissima gente cresciuta nella sudditanza di un potere, che da diciassette secoli si prende gioco dell'umanità. Ma non è questo il tema centrale del mio intervento. Intanto ringrazio Gianni Viola dell'opportunità che mi dà di esprimere sinteticamente ciò che a mio avviso ha rappresentato l'esperimento sovietico nello stato di salute universale della nostra specie, che è da tempo in crescente rischio di "suicidio-estinzione" per saturazione di conflittualità sociale e di scompenso ecologico.
Prima di entrare nel vivo della questione devo premettere le linee essenziali del mio pensiero perché solo in rapporto a questo le mie valutazioni possono essere recepite nella loro autenticità e possibilmente condivise.

Ufficialmente sin dal 1979 sono il padre di una nuova filosofia e della versione naturalistica della sociologia, cui ho dato la denominazione di "biologia (del) sociale". Si tratta di un sistema di pensiero che, come suggeriscono le stesse parole, assume come centro motore dell'esistenza e della storia, la biologia intesa nel doppio senso di fenomenologia organica della vita e di potenzialità vitale. Pertanto, si riallaccia di fatto, anche senza farne espresso riferimento, all'evoluzionismo, con o senza Darwin, inteso come modo di divenire e di essere della vita reale dell'uomo reale.
La biologia (del) sociale, infatti, svolge tutta la propria attività di ricerca conoscitiva e di elaborazione nell'àmbito della specie come unico universo concreto dell'uomo. Ne consegue che gli unici problemi, che l'uomo ha interesse di risolvere, sono quelli del suo quotidiano, problemi che non sono né pochi né facili. Infatti, il quotidiano è simile ad una retta, che è infinita! Tutto il resto è demandato alle scienze specifiche ed accademiche.
"Biologia del sociale" sta anche per "biologia applicata al sociale" (che è l'universo umano) e non va confusa né con teorie su base biologica come la biologia culturale di Gino Raya, che fondò la sua teoria sulla sola fame (famismo) e la sociobiologia di Wilson, che sostiene tesi totalmente incompatibili con la logica biosociale.
Il filo conduttore della scienza biosociale è la "pulsione esistenziale" ad "emergere" (etimologicamente equivalente di "ex-sistere") dalla Vita potenziale. (Cfr. l'ilozoismo e il pensiero di Ermete Trismegisto). Bergson parlava di "slancio vitale". È un apriori che assumo come dato di fatto e punto di partenza. Lo distinguo in cinque momenti, che chiamo costanti: bisogno di assumere sostanze energetiche - ovvero di mangiare - al fine di alimentare il medium psicosomatico, detto corpo od organismo, e quindi di "esserci"; bisogno di rassicuranza affettiva (contro la paura del diverso, dell'ignoto e della morte); bisogno di trascendersi creando valori e proiezioni nei posteri (per non morire); bisogno di autoidentificarsi, via via nel proprio corpo, negli affetti e nei valori (per essere "se stesso" come identità autosufficiente); bisogno di scaricare lo stress attraverso l'orgasmo sessuale (Reich) in un sentimento composito, in cui si ritrova l'affettività, la "fame della specie" e la possibilità di farla vivere nel tempo.
La risposta alle costanti - determinata anche dalle attitudini innate (Dna) e dall'ambiente (inteso in senso globale: dall'influenza sull'età evolutiva, con possibili effetti ipnotico-catechistici, alla vita vissuta) - dà luogo alle infinite varianti ovvero alla fenomenologia esistenziale propriamente detta e ai costumi (dalla religiosità -come risposta al bisogno di rassicuranza affettiva, che sarà sfruttata dagli stregoni di sempre a fine di dominio - alla conflittualità come scontro di risposte incompatibili).
Mentre l'animalità risponde alla pulsione della fame con la predazione (del regno animale e/o del regno vegetale) e alle sollecitazioni dell'ambiente (difesa di sé, della prole, della preda e dell'habitat) con una specie di intelligenza inconscia (automatismo istintivo), solo la specie umana è aperta all'autoconsapevolezza, al pensiero astratto, alla conoscenza, alla ragione e, infine, all'etica. La specie umana si compie attraverso la storia (gestazione storica) ma non si evolve in maniera lineare, come dire dal meno verso il più ma, anche per effetto ambientale, produce bio-etnie, civiltà ed individui variamente evoluti per livello e per composizione.
"L'uomo nasce animale e come tale si comporta inizialmente". Con il maturare della ragione (filo conduttore dell'intelligenza conscia) si fa "animale ragionevole" ma non nel senso aristotelico bensì solo nel senso di "animale che ragiona come tale". Io lo chiamo "antropozoo": una mistura - o miscela - di istinto predatorio e di ragione, che ne fa, si direbbe, una specie a sé stante. L'antropozoo traspone la predazione primitiva in modalità antropologiche sempre più surrettizie e sofisticate: è comunque il soggetto vivente più terrificante, più terribile e più temibile. La cronaca quotidiana ci dice che nulla di mostruoso è estraneo all'antropozoo, che possiamo ritrovare anche in un soggetto elegante, forbito, carico di tecnologia e di scienza. (La stessa cronaca ci parla di matricidi ed infanticidi, i cui autori hanno l'aspetto rassicurante di brava gente!) Da notare che "in uno stesso soggetto possiamo avere l'animale che ragiona e cenni dell'uomo 'compiuto'", il che rende difficile la valutazione dell'agente e la spiegazione dei suoi crimini.
Mentre possiamo parlare di natura predefinita in rapporto alle varie specie animali, non lo possiamo per la nostra specie, che è in fieri: perciò diciamo che "ogni soggetto è quello che diventa" in rapporto al proprio gruppo bio-etnico e al livello di evoluzione. Il parametro di riferimento dell'evoluzione della nostra specie non è la ragione, che caratterizza l'infanzia dell'uomo né la tecnologia e la scienza che ne caratterizzano l'adolescenza ma ancora un sentimento (o "meccanismo inconscio"), che io ho individuato nella "bioempatia" o "consonanza bioaffettiva" che impedisce all'individuo di nuocere ai propri simili ma, al contrario, lo induce a prenderne le difese sostituendo all'agonismo predatorio il mutuo soccorso senza per questo rinunciare al proprio naturale egoismo (che è anzitutto istinto di legittima autodifesa, e guai se non ci fosse!).

Quello che si chiama capitalismo - e poi liberismo - altro non è che "predazionismo". In termini storici è guerra di conquista e di espansione, esercizio del potere come strumento di dominio, colonialismo, imperialismo... Se il predazionismo nasce dalla razionalizzazione dell'istinto animale e dà luogo alla lunghissima "adolescenza antropozoica", solo l'etica compie il percorso del soggetto-uomo estendendo l'autoidentificazione (quarta costante) al proprio simile, di fatto, e, potenzialmente, all'universo vivente.
L'epilogo del predazionismo antropozoico (capitalismo-liberismo) è l'estinzione della specie per "aborto storico". L'alternativa al capitalismo nasce, anche inconsapevolmente, da due sentimenti complementari: dalla rivendicazione dei propri diritti naturali (che sono l'espressione giuridica della risposta alle costanti) e del bisogno di liberare i propri simili dall'illimitata e illimitatamente variegata violenza antropozoica. Tale alternativa è il socialismo.
"La storia è possibilità". Diviene per propulsione dei più forti, nel bene e nel male ("dinamica elitaria"). Perciò, l'evoluzione della specie umana è solo una possibilità problematica: infatti, gli antropozoi (predatori umani) più potenti la possono bloccare fino al possibile "suicidio". Solo il socialismo, se giungerà in tempo, potrà salvare la specie umana da una forma di "estinzione tragica" (che può essere una guerra nucleare o una successione di pandemie indotte assieme alla rabbia della natura sistematicamente aggredita e dissestata). In questi termini "il socialismo è una necessità biologica".
Il socialismo consiste nel sostituire il "privato predatore" (oggi detto imprenditore: non parliamo dei piccoli esercenti), come motore di una collettività organizzata in Stato, con lo Stato stesso, come potere pubblico al di sopra delle parti, unico possibile organizzatore del lavoro produttivo di beni e di servizi secondo il fabbisogno in modo da consentire a tutti di usufruire dei benefici della civiltà secondo equità e bisogno. Con il socialismo è possibile il vero Stato di diritto contro l'attuale Stato di estrazione medioevale e la vera economia secondo l'etimologia di "amministrazione della casa" e, per estensione di una comunità nazionale contro l'attuale pseudo economia, che è "predonomia" (artescienza della predazione surrettizia).
Questi sono alcuni accenni di linee essenziali della mia creatura, la biologia del sociale, che, a mio avviso, costituisce una vera e propria svolta epocale nell'attuale caos delle lingue, causato ad arte, da antropozoi, carichi di ragione e di scienza ma totalmente "anempatici" - ovvero privi di sintonia bioaffettiva - e quindi capaci di tutto pur di conservare beni e potere, il "corrispettivo predatorio" del bisogno, della povertà e della difficoltà esistenziale della maggior parte delle masse umane.
Il socialismo realizza in pieno la trilogia aurea del 1789 "libertà-fraternità-uguaglianza". Solo il socialismo consente all'umanità di evolversi fino alla compiutezza empatica e di rispondere in maniera piena ed armonica ai cinque momenti della pulsione esistenziale. Ecco perché la Rivoluzione d'Ottobre, in quanto esperimento socialista su larga scala, era una terapia d'urto utile a salvare una specie umana già segnata da gravi patologie antropozoiche con possibile esito drammatico. Ma era inevitabile che anche all'interno di tale esperimento degli antropozoi, falsi socialisti, giocassero la loro carta predatoria.
A questo punto è utile chiarire, a scanso di malintesi, che io sono solo un uomo di scienza, ovvero che non ho partito e che mi si può considerare un "cane sciolto" a tutti gli effetti. Solo come tale sono convinto che il crollo dell'Unione Sovietica, avvenuto per l'effetto combinato dell'antropozoismo interno e di quello esterno (vedi complotto Woityla-Reagan: una vera intesa antisovietica in difesa della peggiore reazione politica, perpetrata anche in nome di Dio) - così bene descritto da Gianni Viola in questo libro - è una delle maggiori rovine di tutta la storia. Solo come tale ho sempre guardato all'Urss con simpatia critica e come tale continuo a rimpiangerla e non certo per fedeltà a nessun Marx, che ammiro profondamente ma nella cui lotta di classi non trova certamente riscontro la teoria elitaria del divenire storico.

Un giorno, un tale Gorbaciov, forse anche terrorizzato dalla (immaginaria) "guerra stellare", minacciata dal supercapitalista criminale, antropozoo Reagan, decise di spezzare il circolo vizioso della corsa agli armamenti, attuando una moratoria unilaterale. Io - come molti altri - lo ammirai e, quando costui cominciò a lanciare la "perestrojka" (ricostruzione) e la "glasnost" (trasparenza), credetti che l'Unione Sovietica sarebbe rinata davvero acquistando l'unica identità socialista che le si addiceva. Quando il progressivo precipitare della situazione verso il peggio mi fece capire ciò che effettivamente stava avvenendo, gli indirizzai una dettagliata " lettera aperta", contenuta in un libro (edito nel 1991 da Nova Cultura Editrice di Rovigo) sotto il titolo Perestrojka: ricostruzione o capitolazione...? con ampia prefazione del marxista Roberto Zanetti. La lettera, ovviamente rimasta senza risposta (anche quando sarà spedita per raccomandata all'indirizzo giusto di Mosca) contiene un rapido excursus dell'esperimento sovietico ed elenca una serie di possibili conseguenze funeste, che si sono verificate puntualmente, come:
  • la convalida dei partiti comunisti, che hanno rinnegata la propria identità;
  • la rimessa in discussione di settant'anni di storia sovietica e della validità della Rivoluzione d'Ottobre;
  • l'incremento della conflittualità etnica e razziale;
  • la decadenza della cultura classica russa;
  • la colonizzazione capitalista dell'Unione Sovietica.
Dalla caduta dell'impianto sovietico - unico polo antagonista del sistema antropozoico-capitalista - il mondo è andato progressivamente peggiorando e il fatto più preoccupante è che la voce socialista si fa sempre più fievole fino a scomparire sotto il caos di una destra vera e di una sedicente sinistra, che spesso si somigliano fino a sovrapporsi e che agitano una molteplicità di problemi senza trovarne mai la vera soluzione perché ignorano, quando non anche offendono, il solo pensiero che può dare le risposte di cui si ha bisogno.
Sulla quarta pagina del detto libro scrivevo tra l'altro: "Questa 'lettera aperta' (...) è di fatto rivolta a quanti hanno a cuore il destino del mondo, di cui il socialismo può essere la sola ancora di salvezza. Questo non può essere considerato (...) come una delle tante teorie politiche, nate (...) dalla presunzione (...) di concorrere a fare il mondo a propria personale immagine e somiglianza. (...) Il socialismo è il modo di essere 'adulto' del genere umano in un'età evoluzionale e tecnologica, in cui ogni altro modo concorre all'estinzione della specie. (...) La perestrojka (...) rimette in discussione proprio ciò che dovrebbe salvare il mondo: il socialismo scientifico."

La ricerca storica non è mai fine a se stessa. Quella di Gianni Viola, di cui alle pagine di questo libro, è la denuncia documentata di uno dei più grandi crimini dell'antropozoismo contro la specie umana. Solo avendo cognizione di come l'età intermedia (quella antropozoica, appunto) della specie umana sia il maggiore attentato alla crescita della specie umana stessa, si può comprendere l'enorme importanza del socialismo come scienza risolutiva della civiltà. La biologia del sociale è una chiave di lettura del comportamento del singolo individuo e della storia: per questo ho voluto premetterne un accenno essenziale alla valutazione della fragorosa rovina dell'enorme edificio sovietico davanti ai grugni divertiti di antropozoi come un capo spaccone della Casa Bianca ed un autocrate polacco del Vaticano e di quelli che in atto occupano il potere pubblico del nostro Paese e non sanno il male che si fanno.

Scrivevo nel detto libro:

"Con l'avvento della perestrojka, filiazione oggettiva dell'imperialismo statunitense, l'Onu è risultata essere al servizio del più forte e l'Istituto Nobel ha consolidato la propria funzione di promotrice capitalista scambiando la lotta per la pace per l'acquiescenza alla politica di potenza planetaria degli Usa. (...) I premiati di questa categoria degli ultimi anni (Sadat, Walesa, Saharov et similia) si distinguono per i servizi resi alla Casa Bianca. Non poteva mancare il nome di Gorbaciov! (...) I soli beneficiari della 'perestrojka' sono i più forti (per esempio, le multinazionali) secondo la legge della giungla capitalista. (...) L'Urss (che nel 1929 aveva già abolito gli uffici di collocamento, non avendone più bisogno) ha già chiesto alla Cee l'accoglienza di un primo contingente di neo-disoccupati sovietici, e pare che circa venti milioni scalpitino dalla voglia di raggiungere il nostro paradiso. (...) I paesi capitalisti producono ed esportano disoccupazione al pari della delinquenza e l'Urss, territorio estesissimo quanto ricco di materie prime e di manodopera, farà la stessa cosa nella misura in cui si darà in pasto ai pescecani del capitale. (...) la situazione dell'intero Pianeta non peggiorerà solo per questo. Il peggio della 'perestrojka' sta in ciò che sfugge alla percezione immediata delle masse: sta nel fatto che il capitalismo, già guerra sui generis per se stessa, perde un valido termine di contrapposizione e di contenimento; che il processo verso la criminocrazia e la pandistruzione, proprio del capitalismo, riceve dalla 'perestrojka' stessa una legittimazione verso l'epilogo."

L'epilogo è la fine della storia per crescente incapacità di coesistenza e crescente rigetto ecologico. Ovviamente i tempi di una specie non sono quelli di un individuo, ma i prodromi sono evidenti per chi sa osservare. La fine dell'Unione Sovietica ha accelerato il processo clinico di una crescente insufficienza socio-vitale della nostra specie. Dovrei essere contento di essere stato facile profeta? Sinceramente non lo sono.

Acireale, 19 marzo 2010
Carmelo R. Viola

INDICE:

Prefazione (Cristina Carpinelli) pag. 11
Nota dell'Autore pag. 27
Introduzione pag. 32

PARTE PRIMA: I NUOVI CROCIATI  

Capitolo I - I CANNONI DI ELTSIN pag. 36
1. Mosca come Santiago del Cile pag. 36
2. La strage pag. 37
3. La "Repubblica dei Truffatori" pag. 39
4. Una burla per la democrazia: le elezioni politiche generali del 1996 pag. 41

Capitolo II - LA "FARSA" DEI DISSIDENTI pag. 43
1. Il Convegno "Ucraina: una nazione negata" pag. 43
2. Un dissidente su commissione: Bohdan Rebryk pag. 43
3. Prima regola di un dissidente: mentire pag. 47
4. Gli utili idioti di un occidente rapace pag. 48
5. Centri di sovversione antisovietica pag. 49
6. Le trasmissioni della CIA: Radio Liberty-Free Europa pag. 50
7. La provocazione: il Convegno "I Credenti in U.R.S.S. oggi" pag. 52
8. L'esaltazione del terrorismo pag. 53
9. L'alleanza fra sionismo e grande capitale: Sharanskij pag. 55
10. Il fango della democrazia russa nelle parole di Solgenitsin pag. 56
11. La testimonianza della moglie di Solgenitsin Natalja Rescetovskaia pag. 56

Appendice pag. 57
Sharanskij: ideologo della democratizzazione forzata  
La Cia: le spie e i "diritti dell'uomo" (S.L. Lipavisky)  
Lettera alla RAI sulla disinformazione (Gianni Viola)  

PARTE SECONDA: IL RUOLO DI PAPA GIOVANNI PAOLO II NELLA FINE DELL'U.R.S.S.  

Capitolo I - L'ATTENTATO AL PAPA - AL&Igrae; AGCA E I SERVIZI SEGRETI OCCIDENTALI  
pag. 69
1. La morte di Papa Luciani pag. 69
2. Entra in scena di Ali Agca pag. 70
3. Il piano di disinformazione pag. 71
4. Chi erano i mandanti dell'attentato? pag. 72
5. La grazia e il pentimento (al contrario) pag. 73

Capitolo II - LA SANTA ALLEANZA U.S.A.-VATICANO pag. 76
1. L'Impero del Male... pag. 76
2. ...e l'Impero del Bene pag. 77
3. Populismo e ipocrisia pag. 79
4. Vertice in Vaticano pag. 81
5. Attacco alla Polonia pag. 84
6. Effetti internazionali dell'accordo pag. 87
7. L'uomo - chiave: il cardinale Pio Laghi pag. 89
8. La testimonianza di Hebes de Bonafini pag. 91

Capitolo III - CONTRO LA CHIESA DEI POVERI pag. 94
1. La Teologia della Liberazione pag. 94
2. Le tesi di Leonardo Boff pag. 94
3. La repressione e il giudizio pag. 95
4. Il pacifismo borghese e l'ipocrisia capitalista pag. 96
5. L'epilogo pag. 97

Appendice pag. 98
La rete dell'ingerenza democratica (Thierry Meyssan)  
Documenti dall'Infermo Sudamericano (C. Bernstein)  
Argentina  
Cile  
Nicaragua  

PARTE TERZA: LA DISTRUZIONE DELL'UNIONE SOVIETICA  

Capitolo I - L'INTRODUZIONE DEL CAPITALISMO pag. 116
1. Il piano di attacco "spaziale" pag. 116
2. Il significato sociale del capitalismo pag. 120
3. Il libero mercato... pag. 123
4. ...e la povertà pag. 125

Appendice pag. 128
"Privatizzazioni e corruzione" (Janine R. Wedel)  

Capitolo II - LO SVILUPPO DELLA CRIMINALITÀ pag. 135
1. La fine dello stato sociale pag. 135
2. Settori d'investimento della criminalità pag. 139
3. Tipologia dei reati pag. 144
4. Distribuzione geografica pag. 147

Capitolo III - I DESAPARECIDOS DI RUSSIA pag. 148
1. Le riforme criminali pag. 148
2. La Russia come il Brasile pag. 151
3. L'inferno dei "bambini di Mosca" pag. 152
4. La "Voce della Russia" pag. 153

Appendice pag. 159
"San Pietroburgo" (Fiammetta Cucurnia)  
Pianeta Est: Un viaggio nella nuova Russia (Rai3)  
La guerra imperialista degli USA (gen. Butler)  

Postfazione (Carmelo R. Viola) pag. 170
RINGRAZIAMENTI pag. 177
BIBLIOGRAFIA pag. 178
APPENDICE ICONOGRAFICA pag. 183
INDICE DEI NOMI pag. 190

Tutti i libri di Gianni Viola

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LA VERITÀ SULLA FINE DELL'U.R.S.S. - Gianni Viola
IL SOAVE PROFUMO DELL'IMPERIALISMO - Gianni Viola

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