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SCIENZA E RICERCA SCIENTIFICA...

 
2.3.
LA PAREIDOLIA: QUANDO È VERA, QUANDO È FALSA

di Gianni Viola
 

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2.2. La funzione dell'ipotesi nella ricerca scientifica »

La pareidolia (dal greco "", "immagine", col prefisso "", "simile") è la tendenza istintiva del nostro cervello che decodifica qualsiasi cosa paragonandola con forme viste in precedenza.
Più precisamente tale meccanismo riconduce a forme familiari una serie di immagini disordinate.
Fra gli esempi, che usualmente sono citati nella letteratura, abbiamo la visione del volto di Gesù o della Madonna nelle macchie che si possono formare su un muro. Notissimo l'esempio di un volto umano da più parti "riconosciuto" nella visione (ad occhio nudo) della superficie della Luna. Infine l'esempio classico, storicamente sancito dalla tradizione, è il riconoscimento di immagini di varia natura, nella osservazione delle costellazioni.
Come si può notare tutti i casi sopra citati "non comprendono" nulla che possa essere rapportato ad una visione ravvicinata di tipo satellitare. Eppure, e qui sta il fattore interessante di tutta la faccenda, da parte di una certa sub-cultura (che tanti si ostinano a considerare "scienza"), si insiste, in maniera ossessiva, nella proposizione di un un'immagine marziana, la più che famosa "Face on Mars" (o "volto di Cydonia"), come esempio da ascrivere al fenomeno della pareidolia. Tale esempio è naturalmente del tutto fuori luogo, poiché l'immagine in questione è ad alta risoluzione (perché posta entro i 100 metri pixel) e nondimeno presenta un rapporto favorevole "raggio-dimensione", dover per raggio si intende la minima distanza fra la camera di ripresa e la struttura rilevata. In tali condizioni ciò che si mostra nell'immagine è ciò che esiste nella realtà e. nel caso specifico, la pareidolia non vi potrebbe sussistere in alcun modo.

La ragione in base alla quale la pareidolia viene proposta secondo tali termini così poco "scientifici", è che si ignora la circostanza che essa non è un fattore assoluto: può sussistere solo se vi sono le condizioni necessarie perché il fenomeno si verifichi e la condizione basilare perché la pareidolia possa verificarsi è un rapporto "sfavorevole" fra gli elementi-base della percezione visiva.
È norma che questo succeda per le osservazioni ad occhio nudo della superficie lunare e, ancora, per le osservazioni telescopiche (osservazione peraltro possibile solo con riferimento ai corpi celesti del Sistema Solare); invece, nel caso delle rilevazioni satellitari, essa sussiste solo (sperimentalmente) per riprese oltre i 15.000 Km e tramite l'impiego di camere di ripresa con lunghezze focali inadeguate.
Al contrario, al di sotto di tale distanza, e rapportando la lunghezza focale a parametri dimensionali di una certa grandezza, non è mai possibile parlare di pareidolia. Chi ne parla sempre e comunque, dimostra di sconoscere totalmente i principi basilari della aerofotogrammetria satellitare.
Da precisare che il livello di 15.000 km non è stato fissato in maniera arbitraria, bensì è un dato dedotto dalle rilevazioni satellitari effettuate con riferimento alla Terra.
In pratica, poiché le stesse rilevazioni satellitari operate con riferimento ai pianeti, sono operate anche con riferimento alla Terra, è possibile porre termini di paragone (e di relazione) ed analizzare i risultati ottenuti nei due ambiti. In tal modo, quando sulla Terra le rilevazioni satellitari ottengono la visione chiara e nitida di strutture "conosciute" (ad esempio il Colosseo), se nelle stesse condizioni (corrispettivamente calcolate) sono state rilevate su Marte delle strutture che hanno l'apparenza di artificialità, ne dovremo convenire che l'interpretazione "artificialistica" è una interpretazione reale ed obiettiva.
Ecco perché è possibile escludere, in quei casi, la presenza della pareidolia.
Guai dunque a dimenticare che la logica presiede alla scienza e a fare di quest'ultima uno sgabello per poggiare le nostre inutili deduzioni, poiché le stesse leggi di fisica che valgono sulla Terra, valgono anche sugli altri pianeti.
Parlare di pareidolia, senza avere cognizione di quando e come questa possa manifestarsi, equivale a parlare, sempre e comunque, di illusione ottica.
È vero, invece, che ciascun fattore ha bisogno delle condizioni necessarie perché possa sussistere e, in assenza di tali fattori, la pareidolia è solo una parola vuota ed un pretesto per porre in campo delle circostanze inesistenti.
Un esempio di "cattiva applicazione" della pareidolia è il seguente. Molti autori, riferendosi ad alcune strutture marziane rilevate dai satelliti artificiali, sostengono che "vedere "facce" in formazioni naturali- È è tutt'altro che raro. Questa affermazione necessiterebbe di riportare elementi che fossero omogenei e compatibili con l'esempio della strutture satellitari marziane. Invece, tanto per restare entro i parametri cui facevamo cenno prima, uno degli esempi riferiti è il famoso "Bacio nella Luna", scoperto da Filippo Zamboni nel 1880 e descritto nell'omonimo libro pubblicato nel 1912.
In pratica, nel caso specifico, si pone a confronto (e non lo si potrebbe fare in ogni caso) un'osservazione da terra in direzione della Luna, quindi da una distanza di circa 400.000 km, con una rilevazione satellitare, effettuata da 1.873 km da Marte. Tale operazione risulta improponibile: la logica ci dice che non è possibile porre a confronto elementi che non siano fra di loro omogenei e la disconoscenza di tale elemento implica una deroga dai principi della ricerca scientifica.
È vero che ci sono innumerevoli forme naturali somiglianti a volti umani, trovate sulla Terra, ma si tratta sempre di profili. Per tale motivo tali "forme illusorie" scompaiono quando le medesime strutture si guardano da un differente angolo o in diverse condizioni di luce. In poche parole, in quei casi, si tratta di forme "transeunti congetturali" che non presentano forme e caratteristiche di strutture "obiettive".
Tanto per restare nell'ambito della struttura cui facevamo cenno prima, il volto di Cydonia (o "Face on Mars") è stato rilevato quattro volte a distanza di 28 anni e pur nelle diverse angolazioni di ripresa, ha mostrato sempre la medesima immagine, ovviamente con maggiori particolari, in relazione all'aumento del livello di risoluzione, passando da 47,1 e 43,3 metri nel 1976 (Viking 1), a 37,8 e 18,9 metri nel 2004 (Mars Odyssey).

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